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Pensioni di anzianità, basta ipocrisie: i “regali” ingiusti della collettività

Come spiega Giuliano Cazzola, onorevole del Pdl ed esperto del sistema previdenziale, con l’attuale sistema di calcolo sulle ultime retribuzioni, viene fuori che per i dipendenti esiste un “regalo” di dieci anni e per gli autonomi di venti – Il contributivo pro rata per tutti, cui punta il ministro Fornero, sarebbe una prima soluzione

Pensioni di anzianità, basta ipocrisie: i “regali” ingiusti della collettività

I sindacati alzano le barricate, il Pd fatica a superare un tabù ben radicato in una parte del suo gruppo dirigente, la Lega ci sguazza cercando di presentarsi come difensore dei poveri pensionandi padani: quando si parla di riforma delle pensioni le emozioni fanno premio sui dati di fatto e i capi di partiti e sindacati non hanno scrupoli a ricorrere alle più plateali bugie pur di portare l’acqua al proprio mulino.

Si dice, ad esempio, che l’Inps è in equilibrio finanziario e quindi non c’è alcun bisogno di riformare le pensioni. Falso. Giuliano Cazzola onorevole del Pdl e vero esperto del sistema pensionistico italiano ci aiuta a leggere i dati del coacervo Inps. “Il sistema pensionistico – dice – si compone di varie gestioni e bisogna guardare dentro ad ognuna per capire. Ad esempio, la gestione dei lavoratori autonomi presenta un deficit di 10 miliardi, quella previdenziale sta in piedi soprattutto grazie al forte attivo dei Cococo e degli altri collaboratori. In generale la previdenza non va valutata sul bilancio dell’anno in corso, ma sulla sostenibilità a lungo termine del sistema. Ed il calcolo attuariale dimostra che nel 2040 il nostro sistema pensionistico avrà un peso sul Pil superiore di 1,5 punti percentuali rispetto alla media europea. Quindi è troppo caro e pesa troppo sul nostro bilancio pubblico. Poi, al di là di queste considerazioni tecniche, in un momento in cui dobbiamo tutti stringere la cinghia, è ovvio che si va a toccare un sistema che rappresenta più del 15% del Pil, cioè 220 miliardi di Euro.”

Ma veniamo al cuore del problema quello delle pensioni di anzianità, cioè quel sistema che consente di ritirarsi dal lavoro con quarant’anni di contributi senza vincoli di età. Su questo tema si sono dette tante inesattezze. La maggiore riguarda l’affermazione che si tratta di pensioni che sono state pagate dai lavoratori con i contributi versati nel corso della loro vita lavorativa. Al contrario, con l’attuale sistema di calcolo effettuato sulle ultime restribuzioni, viene fuori che per i dipendenti siamo sotto di dieci anni rispetto a quelli preivsit e per gli autonomi addirittura di 20. Come si vede, dei “regali” niente male.

la pensione è più alta di circa il 10% rispetto al puro calcolo dei contributi versati per i lavoratori dipendenti, ed addirittura del 20% per gli autonomi.

La tabella fornitaci dall’on Cazzola (guarda immagine), dimostra che con il metodo retributivo i contributi, versati da un lavoratore dipendente che va in pensione a 58 anni ed ha una speranza di vita di 25,3 anni, coprono solo 17,3 anni di pensione lasciandone scoperti 8. Un vero e proprio regalo fatto dalla collettività a chi va in pensione presto. I dati dimostrano che i 4/5 di coloro che usufruiscono delle pensioni di anzianità, si ritirano a 58-59 anni e quindi potranno godere di un trattamento privilegiato per 20-25 anni considerando l’allungamento della vita media.

Il nuovo ministro del Welfare, Elsa Fornero, pensa che sia necessario passare immediatamente al calcolo del contributivo pro-rata per tutti. Questo basterebbe a riequilibrare il sistema?

“Non ho dettagli – dice Cazzola- su quello che stanno preparando al Ministero, tuttavia credo che il contributivo per tutti dal 1 gennanio 2012, sia una accelerazione da fare. In questo caso si avrebbe una riduzione delle pensioni di circa 0,9 punti all’anno. Si capisce quindi che per i primi anni i risparmi sarebbero piuttosto contenuti. Bisognerebbe quindi introdurre per le pensioni di anzianità un requisito di età, come del resto è stato fatto per quelle di vecchiaia. Si lasciano quindi i quarant’anni di contributi ma si mette una età minima di pensionamento a 60 anni, raggiungendo così quota 100 da tempo indicata dagli esperti per normalizzare il sistema. Magari si dovrebbe trovare una modalità per recuperare i contributi versati in più oltre i 40 anni per rendere più equo il tetto di età che costringerebbe molte persone a rimanere uno o due anni in più al lavoro. E’ chiaro che con il passare degli anni e con l’arrivo in età di pensione delle generazioni più giovani che avranno un calcolo fatto tutto con il sistema contributivo, il problema si risolve automaticamente”.

La riforma che il Governo si appresta a varare dovrebbe quindi avere due pilastri: contributivo pro-rata per tutti, e requisito minimo di età per quelle di anzianità, oltre ad aggiustamenti minori sulle pensioni delle donne, ed un aumento dei contributi per gli autonomi. C’è anche l’idea di bloccare l’adeguamento dei trattamenti pensionistici all’inflazione. A parere di Cazzola questa è una misura di emergenza altamente sconsigliabile, ma se fosse proprio indispensabile, dovrebbe avere una durata limitata, perchè sarebbe assurdo lasciare a lungo i pensionati senza alcuna copertura rispetto all’aumento dei prezzi. E del resto già nel decreto di luglio si sono fatti ritocchi sui sistemi di rivalutazione delle pensioni oltre al contributo di solidarietà imposto ai così detti pensionati ricchi.

Sono provvedimenti complessi ed implicano sacrifici. Sarebbe bene però che il Governo evitasse di fare ancora una volta una politica dei due tempi: subito una manovra tampone e tra qualche mese la riforma strutturale. Meglio levarsi in dente tutto in una volta e poi assicurare una stabilizzazione del sistema pensionistico per molti anni dando, se non altro, tranquillità psicologica ai cittadini italiani su cosa li aspetta durante la delicata fase della vecchiaia.

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