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Meloni al bivio su Mediobanca e Generali: sosterrà il sogno di ribaltone di Caltagirone o difenderà Nagel e Donnet?

Per i gioielli del capitalismo italiano – Mediobanca e Generali in testa – si preannuncia un autunno caldo e, attraverso la lista del Cda uscente e il voto multiplo, la premier Meloni dovrà scegliere se difendere gli equilibri societari attuali o assecondare Caltagirone che vorrebbe ribaltarli

Meloni al bivio su Mediobanca e Generali: sosterrà il sogno di ribaltone di Caltagirone o difenderà Nagel e Donnet?

Tutto si deciderà in autunno ma alla fine della battaglia parlamentare sul Ddl Capitali, attualmente all’esame del Senato, la premier Giorgia Meloni dovrà scegliere tra la linea movimentista del costruttore romano, Francesco Gaetano Caltagirone, che mira a ribaltare i vertici di Mediobanca e Generali o la difesa degli attuali equilibri nei due gioielli del capitalismo italiano ma anche in Tim e in Banco Bpm. I giochi sono aperti e se ne riparlerà il 6 settembre alla riapertura della Commissione Finanze di Palazzo Madama che si troverà davanti a 130 emendamenti del testo di base del Ddl Capitali e che attende di conoscere l’orientamento del Governo. Le questioni su cui si deciderà il futuro prossimo del capitalismo finanziario sono due: la legittimazione o meno della lista del Cda uscente – quella che finora ha permesso ad Alberto Nagel di vincere in Mediobanca e a Philippe Donnet di vincere in Generali – e la facoltatività (il cosiddetto Opt-in) o obbligatorietà per legge (l’Opt-out alla francese) della moltiplicazione fino a 10 dei diritti di voto per i soci stabili delle società quotate. Sembrano questioni tecniche ma sono profondamente politiche e dalla soluzione che la Meloni deciderà dipenderanno il ribaltone ai vertici del capitalismo finanziario italiano o la difesa degli equilibri attuali, il trionfo del potere degli azionisti più importanti o la prevalenza dell’autonomia dei manager.

Lista del Cda uscente o lista degli azionisti

La presentazione di una lista per il nuovo board da parte del Cda uscente, e cioè dei manager, è già stata al centro delle discussioni e delle polemiche delle ultime assemblee di Generali e di Mediobanca e, salvo accordi in extremis, lo sarà anche nell’assemblea della banca milanese di Piazzetta Cuccia del prossimo ottobre. La paladina della lista del Cda uscente è proprio Mediobanca che sostiene questo modello di governance sia per se stessa che per Generali, dove detiene la principale partecipazione azionaria, pari al 13,10% del capitale. Opposta è invece l’impostazione di Caltagirone e di Delfin (la holding degli eredi di Leonardo Del Vecchio) che hanno rilevanti quote sia in Mediobanca (19,9% per Delfin e 9,9% per Caltagirone) che in Generali (9,77% per Delfin con possibilità di salire fino al 20% e 6,23% per Caltagirone). La novità delle ultime ore, su cui il Governo non si è ancora pronunciato, è la pioggia di emendamenti al Senato contro la lista del Cda. Particolarmente agguerriti i Cinque Stelle ma anche Fratelli d’Italia, il partito della Meloni. I Cinque Stelle hanno presentato un emendamento, firmato anche dal loro capogruppo al Senato ed ex ministro Stefano Patuanelli, che, se dovesse essere approvato, sarebbe una vera bomba. Questo emendamento prevede che, salvo diversa disposizione dello statuto societario, “la lista presentata dal Consiglio di amministrazione uscente non può in ogni caso concorrere all’elezione dell’organo amministrativo e si considera come non presentata quando uno o più soci, purché singolarmente o congiuntamente titolari di una partecipazione pari o superiori al 9% del capitale, presentino una lista che contenga un numero di candidati pari al numero di consiglieri da eleggere”. Con questa norma Delfin e Caltagirone avrebbero carta bianca. Ma i Cinque Stelle non sono soli contro la lista del Cda uscente: agguerriti sono anche un emendamento della Lega e uno di Fratelli d’Italia. Quello della Lega, presentato da Borghi e Borghesi, stabilisce che “qualora la lista del Cda uscente risulti quella che ha ottenuto il maggior numero di voti, con esclusione dei candidati di competenza delle minoranze, l’assemblea procede a una ulteriore votazione individuale su ogni singolo candidato”: una bella zeppa per la lista del Cda uscente. Infine c’è l’emendamento di Fratelli d’Italia, il partito della Meloni, firmato da Melchiorre, secondo il quale, in caso di lista del Cda, vanno considerati parte correlata (con tutto quel che comporta) tutti soci titolari di partecipazioni pari o superiori al 5% del capitale: altra zeppa anti lista Cda.

Per ora Nagel e Mediobanca sono salvi: le nuove norme sulla governance non arriveranno in tempo per l’assemblea di ottobre

Se gli emendamenti anti lista Cda fossero stati approvati in passato dal Parlamento, sia Donnet in Generali che Nagel in Mediobanca avrebbero incontrato molti ostacoli sul loro cammino e difficilmente avrebbero vinto. Ma il tempo gioca oggi a favore di Nagel perché è del tutto improbabile che il Parlamento, che è ancora in prima lettura e nemmeno in aula, riesca ad approvare le nuove norme di corporate governance contenute nel Ddl Capitali prima dell’assemblea d’autunno di Mediobanca. Nagel ha perciò buone probabilità di sfangarla ancora una volta e il mandato di Donnet dura altri tre anni. Tradotto: nessun ribaltone in vista a breve per l’istituto di Piazzetta Cuccia e per il Leone di Trieste ma molte nubi all’orizzonte, perché la battaglia sulla lista del Cda non è l’unica insidia per i colossi del capitalismo finanziario italiano. L’altro terreno di scontro è quello del voto multiplo.

Voto multiplo sì ma facoltativamente per via statutaria o obbligatoriamente per legge?

Per evitare nuove fughe verso l’Olanda e per attrarre nuovi investitori nella Borsa di Piazza Affari, il Ddl Capitali prevede anche che si rafforzi il voto multiplo per le società quotande e soprattutto per quelle già quotate. In parole semplici si tratta di moltiplicare fino almeno a 10 i diritti di voto degli azionisti stabili delle società. Come ai tempi di Enrico Cuccia le azioni non si contano ma si pesano. Ma il punto cruciale, sollevato anche dalla Presidente di Assonime Patrizia Grieco nell’intervento su FIRSTonline il 13 luglio, è decidere se il voto multiplo debba rafforzarsi in modo facoltativo (Opt-in) attraverso lo Statuto societario, che per essere modificato richiede una maggioranza qualificata in assemblea, o obbligatoriamente per legge secondo il modello francese (Opt-out). Se passasse la seconda opzione e cioè attraverso una moltiplicazione obbligatoria per almeno 10 dei voti degli azionisti stabili, gli equilibri attuali del capitalismo italiano verrebbero rivoluzionati. E’ per questo che è fin troppo prevedibile che la premier Meloni si muoverà con circospezione su un terreno inevitabilmente minato e prima di decidere in senso o nell’altro, non mancherà di consultare il nuovo Governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, il Presidente della Consob, Paolo Savona, ma anche l’eurocommissario per gli affari economici della Ue, Paolo Gentiloni e forse la stessa Presidente Ursula Von der Leyen, senza dimenticare i consigli e le raccomandazioni del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella oltre a quelli delle associazioni professionali. La Meloni è a un bivio e per il capitalismo italiano si annuncia un autunno caldo.

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