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Maracuoccio, una cicerchia che viene dalla storia di cui si era persa la memoria

Il nome è di origine semitico. Una rarità gastronomica, che oggi si coltiva solo in 3 ettari ad opera di 6 famiglie di contadini sulle colline di Marina di Camerota. La ricetta della marracuocciata.


Per secoli soprannominati la “carne dei poveri”  perché nell’impossibilità degli strati sociali meno abbienti della popolazione,  che non potevano certo permettersi le ricche libagioni della nobiltà, davano il giusto apporto di proteine – ne contengono,  allo stato secco dal 20 al 40%,  una percentuale quasi doppia rispetto a quella dei cereali e che si  avvicina a quella dei prodotti di origine animale – i legumi hanno sfamato e sostenuto, milioni e milioni di persone fin dai tempi più remoti dell’antichità. Facili da coltivare e da cucinare sono stati provvidenziali non solo per le plebi ma anche per le classi più agiate ad assicurare sopravvivenza in tempi di carestie e di siccità.

Le lenticchie erano sicuramente il cibo più comune nella Roma imperiale per l’alimentazione del popolo e degli schiavi. L’uso era così diffuso che i Romani avevano organizzato un fiorente  commercio marittimo dall’Egitto a partire dal 525 a.C. e esattamente  dall’antichissima Pelusio sul Nilo, dove secondo  un’antica leggenda sarebbe nato il prode Achille, dalla quale partivano navi non solo per Roma ma anche per la Grecia. E non solo di lenticchie, perché i legumi rappresentano una delle più antiche coltivazioni del bacino mediterraneo fatta eccezione per il fagiolo e l’arachide che sono stati portati in Europa dalle Americhe e la soia, originaria dell’estremo Oriente. Resti di piselli risalenti a circa settemila anni prima di Cristo sono stati rinvenuti in Ucraina, lupini e lenticchie in tombe faraoniche della XII dinastia; per un piatto di lenticchie Esaù, come ci racconta la Bibbia, si giocò la primogenitura.  Sulle fave e su tutti i legumi che presentano due cotelidoni, con funzione di nutrizione dell’embrione durante la germinazione, la casta sacerdotale egizia e la scuola pitagorica greca, avevano elaborato una originale teoria che riportava al mondo dei morti e a pratiche esoteriche: l’unione dei due cotiledoni all’interno di un solo involucro veniva considerata  come elemento di complementarietà tra la vita esterna (essoterica) e la vita nascosta (esoterica) e, comunque della continuità tra la vita e la morte. Si può ben capire a questo punto come mai lupini e lenticchie siano stati rinvenuti in tombe faraoniche della XII dinastia. Certo è che Plinio esaltava i legumi per il loro alto valore nutritivo e per la virtù di infondere tranquillità all’animo mentre Lucio Giunio Columella tribuno in Siria nel 34 d.C., autore del  trattato De re rustica, in dodici volumi ne sottolineava valori e proprietà. Si mangiavano crudi, ma anche cotti: Catone consigliava  di condirli con aceto, oppure in preparazioni,  un po’ più di soddisfazione per il palato,  di minestre di legumi misti in cui  un po’ di grasso di maiale avanzato dalla lavorazione delle carni per i ricchi dava l’illusione di pranzi e sapori prelibati. Ma Columnella e Varrone andarono oltre perche scoprirono, già allora, che l’impiego delle piante divelte dopo il raccolto,  mischiate al terreno, arricchivano la terra di proprietà nutrizionali  importanti per le seminazioni dei campi. Cosa che divenne largamente diffusa e codificata poi nel medioevo e che ancora oggi viene praticata.

L’uso di legumi nella cucina- dopo secoli di onesto servigio all’umanità – venne  nell’ottocento relegato alle tavole povere dei contadini. Ma il riscatto che ha ridato nuova vita ai legumi è venuto negli anni 70 con la scoperta dei benefici della dieta mediterranea che ha proposto un’alimentazione povera di grassi animali e ricca di fibre, di carboidrati e di proteine vegetali.

“Farro, frumento, orzo, riso integrale, segale e amaranto da una parte. Piselli, ceci, lenticchie, fave dall’altra – si legge in un documento della Fondazione Veronesi – messi insieme, e conditi con una giusta dose di olio extravergine di oliva, costituiscono un piatto che sazia e fa bene all’organismo, proteggendolo dall’insorgenza di malattie croniche, cardiovascolari e da alcune forme tumorali. Un mix di ingredienti che, così completo, non si trova in altre fonti alimentari e permette, in assenza di patologie, di far ricorso a farmaci e integratori”. 

Insomma la salute sboccia innanzitutto a tavola perché oltre alle vitamine e a diversi composti bioattivi contenuti in questi alimenti, buona parte dei meriti sono da ascrivere allefibre che, pur non essendo digeribili e non avendo alcun valore nutritivo, aumentano il senso di sazietà, regolano la funzionalità intestinale, aiutano a mantenere sotto controllo i livelli di glicemia e colesterolo del sangue e mantengono l’equilibrio della flora batterica intestinale.

E dunque sembra evidente che mantenere in vita antichi prodotti della campagna non è solo un fatto snobistico – culturale, ma risponde a una fondamentale azione di recupero del nostro passato alimentare, della nostra storia e dell’identità del territorio che va assolutamente salvaguardato. La FAO ha ritenuto opportuno riconoscere esplicitamente che questa memoria storica, connessa ad esperienze attuali di coltivazione, ha un valore importante anche come parte integrante dell’agro biodiversità, perché: “è l’attività umana che forma e conserva questa biodiversità (FAO, 1999) e l’uomo fa parte del mondo biologico”.

Per questo vi proponiamo di riscoprire uno dei più antichi, rari e dimenticati legumi italiani, il Maracuoccio di Lentiscosa, piccolo legume, simile a un pisello ma più vicino alla cicerchia. Il ceppo di origine è infatti un gruppo di leguminose appartenenti al genere Lathyrus, quello della comune cicerchia: nello specifico il maracuoccio si identifica nel Lathyrus cicera, addomesticato tra Francia e Penisola Iberica agli albori dell’agricoltura. Il Maracuoccio ha una forma squadrata e di un colore che può variare dal verde scuro al marroncino, al rossastro, spesso screziato o marmorizzato. Il gusto, in genere, è un po’ amarognolo. Caratteristica che si evince dall’etimologia del nome formato dalla radice “Mara” di origine semitica che vuol dire amaro, e dalla parola “Cuoccio” di derivazione greca che significa baccello.

Da secoli si coltiva a Lentiscosa, una frazione collinare del comune di Camerota, nella parte meridionale del Parco Nazionale del Cilento sui terreni più soleggiati e calcarei, come alimento per il bestiame ma anche come fonte proteica per le popolazioni più povere o nei periodi di carestia. Oggi la sua coltivazione si è ristretta a soli tre ettari da parte di sei famiglie di agricoltori, che val la pena di citare uno per uno per la loro meritoria azione di conservazione di un patrimonio gastronomico del territorio Giuseppe Marotta, Località Pollareto tel. 347 5422409; Lorenzo Pacelli, Località Chiusura e Spinosa tel. 333 2080883; Sandro Mattia Peluso, Località Infreschi e Pornia tel. 348 0975027; Domenico Caiazzo, Località Sammataro tel. 338 4386298; Domenico Cusati, Località Infreschi e Vaimonte tel. 347 6865817; Luca Cella Località Furniciello Tel. 0974273451.

Il Maracuoccio stava letteralmente sparendo dalla nostra memoria e anche dalla faccia dell’Italia. Se oggi possiamo ancora parlare del Maracuoccio è perché la sua coltivazione ha resistito nei secoli unicamente per essere stata tramandata di padre in figlio per usi familiari. Per questo Slow Food è corso in suo aiuto annoverandolo come presidio da salvaguardare e da promuovere anche per offrire opportunità di lavoro ai giovani del paese.

Giorgio Iannuzzi, responsabile del presidio Slow Food dell’area tiene a precisare che la coltivazione del Maracuoccio è manuale e non prevede l’uso di fertilizzanti, diserbanti o altri prodotti. Nel mese di novembre- dicembre si prepara il terreno e si semina.

Le piantine che spuntano rimangono molto basse, simili a quelle dei ceci, producendo un piccolo baccello, coninterno semi sfaccettati con dimensioni somiglianti ai piselli ma di forma irregolare e squadrata con colori diversi dal verde al rossastro e dal gusto un po’ amarognolo.

A fine giugno si estirpano le piantine, si adagiano su di un telo, si battono facendo uscire i semi .

Dai semi essiccati se ne produce farina che viene consumata sotto forma di polenta miscelata con altri tipi di farina. La proporzione è di due parti di farina di maracuoccio e due di farina di grano, qualcuno aggiunge anche piccole percentuali di farina di legumi locali.

Questo antico legume è legato a una preparazione tradizionale locale: la Maracucciata, una polenta ottenuta cuocendo una farina composta per metà da Maracuoccio e per l’altra metà da grano, ceci, farro, favino e cicerchie. Il tutto arricchito con olio extravergine, crostini di pane, cipolla, aglio e peperoncino che trasforma un piatto semplice in una prelibatezza dal perfetto equilibrio nutrizionale.

Il Maracuoccio è ingrediente anche di un altro piatto simbolico cilentano: i cicci maritati o cuccia: una zuppa di legumi diversi che viene preparata nei paesi del Cilento in alcune giornate simboliche o propiziatorie (a inizio primavera, il primo di maggio, il giorno dei defunti).

Trattoria Pizzeria Maricucciata

Marracucciata in tegame foto

Lungomare Trieste 105
Marina di Camerota
0974 379612
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Trattoria a conduzione familiare sul lungomare proprio davanti al campo sportivo la Maricucciata è il regno della cucina di tradizione del territorio.  Il proprietario, Gaetano Belluccio, è uno degli animatori della riscoperta del Maracuoccio.  Nel suo locale il Maracuoccio viene servito con vari abbinamenti che vanno dal baccalà ai broccoletti. Tutto qui è genuino non artefatto, e Belluccio si fa un vanto di poter servire ai clienti specialità cilentane, molti prodotti sono coltivarti personalmente da lui.  Trovandosi a Marina di Camerota, il pesce è ovviamente fresco. Da provare anche le alici arrostite e le melanzane ‘mbuttunate.

La ricetta della Maracuocciata

Ingredienti

250 gr di farina di grano e maracuoccio
1 bicchiere d’olio extra vergine d’oliva
1 cipolla
peperoncino piccante
crostini di pane
sale q.b

Procedimento:

In una pentola far bollire l’acqua  con il sale, aggiungere lentamente la farina di maracuoccio e il grano, mantenendo la fiamma bassa. Mescolare energicamente per evitare che il tutto si attacchi alla pentola.

Far soffriggere  a parte nell’olio di oliva la cipolla, i crostini di pane e il peperoncino piccante. Una volta che la cipolla sarà imbiondita togliere la padella dal fuoco.

Quando la polenta di farina sarà cotta aggiungere tutto il composto rosolato in padella e mescolare fino a quando l’olio non sarà completamente assorbito.

Servitela ben calda con un cucchiaio dell’olio lasciato in padella.

La ricetta dei Cicci maritati

Ingredienti:

maracuocci, fagioli cannellini, fagioli borlotti, ceci, lenticchie, grano, granoturco, olio extravergine di oliva, passata di pomodoro, aglio, prezzemolo, peperoncino, sedano.

Procedimento

Dopo aver tenuto a bagno legumi e cereali in ciotole separate per almeno 12 ore, cuocere il tutto  per 4 ore in una pentola con acqua salata. Preparare quindi un soffritto di aglio, prezzemolo tritato, sedano e peperoncino ed aggiungere un po’ di  passata di pomodoro. Far cuocere per qualche minuto, poi trasferire il soffritto nella pentola dei legumi, ultimare la cottura, e servite in tavola con una fetta di pane abbrustolito ed un filo di olio extravergine di oliva.

Pubblicato in: Food

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