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Manovra, la correzione è di 23,5 miliardi ma Juncker può essere un alleato

Il Policy Brief della Luiss School of European Political Economy – di cui pubblichiamo introduzione e sintesi – ricostruisce tutta la storia dei rapporti critici tra Italia e Ue sulla manovra di bilancio che può implicare una correzione di 23,5 miliardi di euro per il nostro Paese ma che può aprire scenari nuovi se il Governo Conte saprà battersi per rafforzare l’euro-area

Manovra, la correzione è di 23,5 miliardi ma Juncker può essere un alleato

La lettera inviata il 13 novembre scorso dal ministro del Tesoro Giovanni Tria al vicepresidente della Commissione europea e al commissario per gli Affari Economici aveva reso palese la scelta del governo italiano di non apportare nessuna significativa modifica alla bozza della Legge di bilancio per il 2019 nonostante le sostanziali critiche, ripetutamente avanzate nelle settimane precedenti dalla Commissione stessa.

Non è stata perciò una sorpresa che, in ottemperanza alle scadenze previste dal Semestre europeo, il 21 novembre scorso la Commissione europea abbia avviato l’iter per l’apertura di una procedura nei confronti del nostro Paese. In questo Policy Brief, si sottolinea che tale procedura racchiude almeno due novità e rischia perciò di avere un impatto molto più rilevante rispetto a precedenti – e apparentemente analoghe – iniziative assunte dalla Commissione europea nei confronti dell’Italia e di altri stati membri dell’Unione Europea (EU) o dell’euro-area.

Ciò raccomanda una reazione italiana volta a eliminare gli squilibri che stanno alla base dell’apertura della procedura. Per giunta, è bene che la reazione sia sollecita, in quanto si tratta di evitare che le istituzioni europee impongano all’Italia correzioni così pesanti da indurre elevati costi sociali e che, nel migliore dei casi, ammontano a 23,5 miliardi di euro per il 2019 rispetto all’attuale bozza di bilancio. La nostra tesi è che, per ottenere questo risultato, non basti correggere la Legge di bilancio per il 2019. Il governo italiano deve anche impegnarsi per assicurare la sostenibilità di breve e di medio periodo del nostro debito pubblico e per assumere una posizione attiva nelle ipotesi di ridisegno della governance economica e delle policy europee. In tal modo, esso potrebbe rafforzare la stabilità e la connessa crescita del nostro paese e contribuire a una più robusta convergenza fra le economie dell’euro-area.

Al riguardo, una base promettente è offerta dal programma di riassetti istituzionali e di riforme economiche proposto dalla Commissione europea alla fine del 2017 e variamente ripreso nei colloqui franco-tedeschi del 2018. Per contribuire al rilancio di questo programma e per incardinarlo su alcuni capisaldi essenziali allo sviluppo italiano, la coalizione giallo-verde ha però il dovere di non isolarsi e di non diventare un focolaio di tensioni economiche e politiche nell’Unione economica e monetaria europea (EMU). Essa è, perciò, chiamata a rispettare le regole europee esistenti anche in materia fiscale così da ripristinare rapporti di fiducia con gli altri stati membri dell’euro-area.

UN’OPPORTUNITÀ PER L’ITALIA

Portando il Paese nel baratro dell’isolamento politico-istituzionale a livello europeo e della recessione sul piano economico, il governo italiano sta sacrificando un’opportunità importante. La proposta di un bilancio dell’euro-area potrebbe, infatti, aprire una nuova e promettente trattativa fra le istituzioni europee e l’Italia fondata su due capisaldi: un rinnovato e vincolante impegno, assunto dal governo italiano, per il ripristino delle condizioni di stabilità fiscale mediante aggiustamenti del bilancio pubblico che ricollochino l’Italia sulla curva di convergenza verso lo MTO; il rafforzamento della governance europea che, prendendo le mosse dalle risorse previste dal bilancio dell’euro-area a favore degli stati membri più fragili, renda cogente l’attuazione del programma di riforma disegnato dalla Commissione europea nel dicembre scorso.

Un accordo del genere porterebbe a una riduzione dei differenziali nei tassi di interesse tra l’Italia e il resto dell’euro-area e fornirebbe così un contributo decisivo al risanamento della finanza pubblica del nostro paese. L’Italia ha, dunque, uno specifico interesse affinché venga riportato al centro delle iniziative dell’EMU il processo disegnato dalla Commissione meno di un anno fa. È evidente che la riproposizione di quel processo non troverà attuazione nelle riunioni che le istituzioni europee terranno nel prossimo mese di dicembre.

Nello spirito di una ripresa del documento della Commissione, l’Italia dovrebbe però uscire subito dall’isolamento cancellando la sua scelta di porsi al di fuori delle regole fiscali e istituzionali europee e appoggiando le aperture franco-tedesche sulla governance. In una prospettiva di medio termine, il nostro Paese avrebbe così un ruolo decisivo da svolgere.

Cogliendo la corrispondenza fra i propri interessi e quelli europei, esso potrebbe aprire un nuovo confronto con la Commissione e gli altri governi dell’euro-area. Si tratterebbe di richiedere che la governance europea arrivi a rispettare i seguenti criteri:

  • Il riequilibrio della sequenza tra “riduzione dei rischi” e “condivisione dei rischi”, ponendo i due processi in parallelo e non rinviando a data indefinita ogni forma di condivisione dei rischi, compresa la assicurazione comune sui depositi bancari.
  • L’introduzione di forme di ristrutturazione dei debiti pubblici solo su richiesta del paese in difficoltà e senza alcuna forma di automatismo o di quasi-automatismo ex-ante.
  • La conseguente applicazione di eventuali clausole di azione collettiva, volte a facilitare i processi di ristrutturazione dei debiti pubblici, ai soli casi in cui tale ristrutturazione non avvenga ex ante.
  • – L’esclusione di ogni possibile ponderazione del rischio sui titoli pubblici dell’euro-area, detenuti dal settore bancario, che differenzi questo rischio in ragione dell’emittente nazionale.
  • L’attribuzione di una personalità giuridica europea all’ESM, così da trasformarlo in un Fondo Monetario Europeo guidato dal vicepresidente della Commissione, e di una sua riorganizzazione che consenta a tale istituzione di offrire ampia assistenza precauzionale per la difesa della stabilità finanziaria dell’eurozona senza condizionarla al preventivo approntamento di un “full program” da parte del paese destinatario.
  • La condivisione del principio secondo cui le risorse del bilancio dell’eurozona, destinate a facilitare la convergenza delle economie più fragili nell’area monetaria comune, siano allocate in ragione non dei livelli assoluti di reddito dei paesi coinvolti ma della perdita relativa di reddito derivante dai costi (di varia natura) imposti dal processo di convergenza.

A fronte di questi sei criteri, il governo italiano dovrebbe riconoscere che ogni assistenza e ogni coordinamento accentrati hanno senso solo se lo stato membro coinvolto rispetta le regole europee di politica economica, incluse quelle fiscali. Di conseguenza, esso dovrebbe concretamente impegnarsi a fare sì che l’Italia soddisfi nel medio-lungo termine i criteri-obiettivo, nella loro attuale definizione, e attivi anche nel futuro i processi di aggiustamento adeguati alla loro realizzazione.

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