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Lo spinoso di Menfi, il carciofo che piaceva a Goethe tutto sapore e sostanze benefiche

Diretto discendente del carciofo spontaneo. Ha proprietà organolettiche uniche come spiega Filippo Romano. Ottimo da mangiare crudo, cotto sulla brace ma anche da conservare sottolio. Oggi è presidio Slow Food salvato da un gruppo di agricoltori. La sua storia

Lo spinoso di Menfi, il carciofo che piaceva a Goethe tutto sapore e sostanze benefiche

Si è dovuto difendere nel tempo da diversi pericoli. Largamente diffuso nell’800 in una vasta area della costa occidentale della Sicilia, quella della provincia di Agrigento, che si estendeva dal fiume Carboj all’attuale Riserva naturale Foce del Belìce, era molto apprezzato per le sue peculiarità che lo rendevano adatto alla cottura alla brace, i cacocciuli arrustuti, e per il fatto che si prestava bene alla preparazione dei sottoli che le massaie consumavano poi tutto l’anno. Parliamo del Carciofo Spinoso di Menfi.

In realtà la presenza dei carciofi in Sicilia data molti secoli addietro. Secondo alcuni sarebbero arrivati in Occidente tramite i greci. Ma si è più accreditata la tesi per cui loro arrivo sull’isola sia dovuto alla dominazione saracena, non a caso il nome ha origine araba, infatti deriva dalla parola ”kharshūf”. A prescindere dalle origini in Sicilia i carciofi trovarono un clima favorevole al punto che l’isola divenne ben presto la più grande produttrice di carciofi dell’area mediterranea.

Nel 1735 il barone F. Nicosia nella sua opera “Il podere fruttifero e dilettevole” riferisce che il carciofo era noto in Sicilia con il nome di cacocciulo e che erano coltivate due specie: una a foglie non aculeate detta “cacocciuli ordinari aperti di la sciorta di Palermo” comprendenti due varietà: “cacocciola a pigna vranchigna e cacocciola paulina a pigna rosseggiante”; l’altra a foglie aculeate detta “carduni domesticu spinusu” o “cacocciola a pigna spinusa paulina” o “di mala sciorta”. Un’ulteriore varietà era descritta dal Nicosia col nome “cacocciola a pigna nigrigna a li punti” o “di bassa sciorta”.

Sia come sia il Carciofo spinoso di Menfi, progenitore della cinaricoltura della costa meridionale siciliana, è il più vicino geneticamente al carciofo spontaneo e quindi conserva un sapore del tutto particolare. Proprio per il suo gusto speciale e per la sua versatilità nell’essere cucinato sulla brace o messo sott’olio si conquistò un suo preciso spazio sul mercato. Ne parlò perfino Goethe durante il suo viaggio in Sicilia nel 1787, sull’uso di mangiarlo crudo: “vuolsi però dire che qui sono molto più teneri, e di gusto molto più squisito che presso noi”. 

Purtuttavia sui 600 ettari originariamente coltivati a carciofo a poco a poco lo Spinoso di Menfi ha dovuto cominciare a cedere il passo ad altre varietà tipo Thema2000, rifiorente dal gusto delicato, violetto di Provenza, alcune varietà di romanesco, tutte specie molto più redditizie per i coltivatori che con i vari ibridi senza spine (anche questo conta per il mercato) hanno potuto quadruplicare la produzione per ettaro. E così la coltivazione del povero Spinoso di Menfi si era ristretta a non più di 10 ettari, con buona pace della difesa dell’ecotipicità locale tradizionale fra i comuni di Menfi, Selinunte, Castelvetrano, Partanna, Montevago, Santa Margherita Belìce, Sciacca e Sambuca.

Si aggiunga a ciò che con il grande sviluppo dell’attività enologica di qualità, nella quale la Sicilia occupa un posto di primo piano a livello nazionale, molte carciofaie erano state trasformate in vigneti.

Insomma si stavano prospettando tempi bui. Fino a che alcuni produttori di Menfi hanno deciso di riprendere la coltivazione dello spinoso tradizionale, si sono costituiti in una associazione e hanno iniziato a cercare nuovi mercati, per il carciofo fresco ma anche per i sottoli. Poi è arrivato il riconoscimento del Carciofo spinoso di Menfi come presidio Slow Food. E tutto ciò ha invertito la tendenza negativa. Tanto più necessario questo riconoscimento perché da qualche tempo si cominciavano a trovare sul mercato spinosi spuri, detti falsi tradizionali (più grandi, e di un violetto meno intenso rispetto lo spinoso di Menfi) che si trovano in alcuni mercati di Palermo o altri locali per rispondere alla richiesta di buongustai che ricercavano il carciofo menfitano.

I coltivatori del presidio mettono ora a disposizione di altri agricoltori interessati materiale di propagazione, cercando così di incentivare la coltivazione dello spinoso. L’obiettivo è affermare la qualità di questo carciofo, salvaguardarlo aumentando le superfici coltivate affinché non si perda, trovare nuovi mercati e cercare di evitare, producendo conserve di alta qualità, di svendere i carciofi nel momento in cui il mercato è invaso da altre varietà. Per le conserve usano olio extravergine locale e il risultato è eccezionale.

Ma vediamolo ora più da vicino per capire di che stiamo parlando. E’ un carciofo di dimensioni medie rispetto alle altre varietà autunnali, le brattee, ovvero la parte edibile del carciofo, hanno una colorazione di base verde e un sopraccolore violetto e nella parte superiore sono presenti grandi spine dorate. Per questa caratteristica in passato era conosciuto anche con il nome di “spinello”. Le spine sono indubbiamente un ostacolo sul mercato e richiedono un poco di pazienza in cucina, ma lo spinoso ha molte altre ottime qualità: è aromatico, croccante, delicato. Molto ricercato per cottura alla brace, e anche per la produzione di sottoli, caponate e paté. Il suo alto contenuto di lignina lo rende infatti più resistente sia alla conservazione in olio (non si sfalda facilmente) e anche più resistente al calore intenso della brace.

E la scarsità d’acqua diventa un suo pregio. Ce lo spiega bene Filippo Romano, titolare assieme al fratello Calogero di una azienda agricola modello di 40 ettari che produce oltre al carciofo di Menfi anche olio extravergine di prima qualità, mandorle e leguminose, collabora con i cuochi dell’alleanza slow food ed è uno dei promotori della ‘rinascita’ dello spinoso che spedisce su ordinazione in tutta Italia. Questa varietà di carciofo – dice – è particolarmente saporita perché la sue foglie, le bratte hanno un ridotto contenuto di acqua nella tessitura, rispetto alle altre varietà moderne. Queste caratteristiche – spiega Romano – derivano dal fatto che lo spinoso è diretto discendente del carciofo selvatico (Cynara cardunculus altilis) di cui possiede molte caratteristiche. Le spine sono il frutto di millenni di evoluzione e adattamenti messi in atto dalla pianta per ridurre la perdita di acqua soprattutto nei mesi caldi e asciutti, ma questo fa si che la pianta abbia un contenuto in percentuale maggiore di tutte le sostanze benefiche tipiche del carciofo”.

Ovviamente la particolarità organolettica dello Spinoso di Menfi, influenzata dal territorio di origine, penalizza la sua produttività. “In effetti – spiega Romano – produce meno della metà rispetto alle varietà moderne e riesce a concentrare in pochi carciofi per pianta le sostanze che una pianta di nuova selezione distribuisce su un numero decisamente maggiore di carciofi, che risulteranno però meno saporiti e più acquosi”. Romano suggerisce di verificare la differenza organolettica degustando dei carciofi bolliti, di diverse varietà. “Si noterà che quest’ultimo è più fibroso, più saporito, meno acquoso e soprattutto non presenta retrogusto erbaceo che hanno le altre varietà. Una prova molto diverte è quella di confrontare il sapore dolce percepito, quando si beve l’acqua alla fine della degustazione del carciofo. La cinarina che è una molecola amarognola, durate la masticazione si lega ai recettori del gusto, sensibili al dolce e li inibisce, durante il pasto non ci accorgiamo di nulla ma nel momento in cui beviamo l’acqua, i recettori si puliscono e riprendono a funzionare, e nonostante l’acqua sia insapore ci sembrerà dolce per contrasto rispetto a prima, più sarà intensa la percezione del dolce, maggiore sarà il contenuto in cinarina, durante il consumo dello spinoso di Menfi la sensazione di dolce a fine pasto è molto intensa perché maggiore è il contenuto di cinarina”.

E fin qui abbiamo parlato del gusto. Quanto alle proprietà benefiche per il nostro organismo, si potrebbe aprire un capito che richiederebbe diverse pagine. Che sia un corroborante contro il logorio della vita moderna, ce lo ricordava il compianto Ernesto Calindri in una delle pubblicità mito di Carosello in tv fin dagli anni 70. A questo va aggiunto che promuove il buon funzionamento dell’intestino e riduce il rischio di cancro al colon apportando un buon quantitativo di fibre. Queste ultime, insieme a cinerina e sesquiterpeni lattonici, aiutano anche a ridurre i livelli ematici di colesterolo. Il carciofo – si legge in uno studio dell’Humanitas Research Hospital – è inoltre fonte di molecole caratterizzate da proprietà antiossidanti che aiutano a difendere l’organismo dall’azione dei radicali liberi e di vitamine del gruppo B, importanti per il buon funzionamento del metabolismo. In particolare, la vitamina B9 (fornita dal carciofo sotto forma di folati) promuove lo sviluppo corretto del sistema nervoso nelle prime fasi della gravidanza. La vitamina K è invece utile per la salute delle ossa e del cervello, il potassio protegge la salute cardiovascolare, il rame e il ferro sono importanti per la produzione dei globuli rossi. Che volere di più?

 Bisogna aggiungere inoltre che le carciofaie hanno bisogno di poca acqua e non avendo bisogno di molti elementi nutritivi raramente vengono concimate con il letame. Quando non si fanno carciofi si coltivano fave, che arricchiscono nuovamente la terra di azoto. La raccolta avviene manualmente a partire dalla fine di novembre fino alla fine di aprile. Dopo si trincia tutto quanto è rimasto. Trinciando la parte secca della pianta si facilitano le operazioni di recuperi degli ovuli migliori, precedentemente segnati con la colorazione alla base dei ceppo. la Anche se con le moderne tecniche di coltivazione si possono reperire lungo tutto l’arco dell’anno, ufficialmente la fine della stagione produttiva è il primo maggio, quando i menfitani si ritrovano in campagna per arrostire gli ultimi carciofi rimasti cotti su braci di potature di olivo o olivo. Il carciofo prima di essere messo sulla brace si batte con tutte le spine su una base di marmo per favorire l’apertura delle brattee si condisce così con olio extravergine di oliva, sale ed aglio.

Al carciofo di Menfi, presidio sostenuto dall’Assessorato delle risorse agricole e alimentari della Regione Siciliana, a fine aprile viene dedicata una grande festa che coinvolge tutto il paese. Durante la manifestazione si può vivere la raccolta del carciofo ma anche degustarlo in vari metodi di cottura, in particolare della versione cotta alla brace, e in varie ricette preparate dai tutti i ristoranti della zona.

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