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Lo sciopero alla Fiat di Pomigliano e l’urgenza di una legge sulla rappresentanza sindacale

Dopo il flop della Fiom nello sciopero contro i sabati lavorativi alla Fiat di Pomigliano, torna d’attualità l’urgenza di una legge erga omnes sulla rappresentanza sindacale e sui contratti che riprenda i contenuti degli accordi interconfederali del 2014 ma li renda più cogenti secondo una proposta dei giuslavoristi dell’Università Roma Tre

Lo sciopero alla Fiat di Pomigliano e l’urgenza di una legge sulla rappresentanza sindacale

Siamo alle solite: al minimo segnale di ripresa del mercato, di diminuzione della cassa integrazione e della disoccupazione, di aumento del lavoro, la Fiom-Cgil risale sulle barricate.

E’ il caso della Fiat di Pomigliano dove è stato proclamato dalla Fiom lo sciopero dei tre sabati di lavoro straordinario in comandata obbligatoria, come previsto dal contratto collettivo di lavoro, da effettuarsi nel mese di febbraio il 14, 21 e 28 per far fronte ad un aumento di ordinativi della Panda prodotta nello stesso stabilimento.

Secondo la Fiom i sabati di straordinario non sarebbero l’ unica soluzione per fronteggiare il picco di febbraio, ma occorrerebbe definire chiaramente un piano industriale, capire quali saranno i modelli futuri da assegnare allo stabilimento, non stressare i lavoratori con il lavoro al sabato atteso che hanno già ritmi sostenuti durante la settimana ed istituire nuovi turni di lavoro per chiamare più persone al lavoro e rispondere in via strutturale alla domanda di mercato.

Le solite vecchie filastrocche populiste, approssimative, generiche che consentono a qualche sindacalista, intervistato dal circo mediatico sui cancelli della fabbrica,  di difendere il proprio ruolo e darsi una qualche visibilità, giocando sulla pelle della gente che dovrebbe tutelare.

Siamo ultimi tra i Paesi europei per produttività del lavoro e competitività delle aziende ma ora siamo i primi per scioperare contro il “lavoro” .

In un contesto in cui nella maggior parte dei casi prevale ormai la “tirannia” della minoranza sindacale, occorre prendere atto che la stabilizzazione delle relazioni sindacali senza regole non è più possibile.

Non è più sufficiente l’ autonomia delle parti sociali, visto che sono rimasti semplici protocolli ( anche per la opposizione di alcuni sindacati di categoria, in primis la Fiom)  gli accordi interconfederali sulla rappresentanza e sulla contrattazione intercorsi tra il 2011 e il 2014, nei quali le parti sociali (Confindustria e Cgil, Cisl e Uil) hanno scelto di darsi un modello basato non più sul mutuo riconoscimento ma su norme procedurali che regolano il loro agire e l’ efficacia dei contratti collettivi sottoscritti.

Sarebbe pertanto opportuno generalizzare queste regole, che si muovono ancora sul solo piano intersindacale, trasportandole in una cornice legislativa contemporaneamente alle altre riforme del lavoro che Matteo Renzi sta portando avanti.

Un contributo al dibattito politico/sindacale e all’ auspicabile iniziativa governativa sul tema è, a mio parere, la proposta di intervento legislativo in materia di “rappresentatività sindacale, rappresentanza in azienda ed efficacia del contratto collettivo” presentata nei giorni scorsi alla Facoltà di Scienze Politiche dell’ Università di Roma “Roma Tre”, nell’ ambito del ciclo di seminari “Le riforme del lavoro e le idee dei giuristi”, da un gruppo di docenti universitari, pur se di diversi indirizzi e formazione politico/culturale, tra cui Raffaele De Luca Tamajo, Roberto Romei, Arturo Maresca, Franco Carinci, Riccardo Del Punta e Valerio Speziale.

La proposta, per quanto riguarda la rappresentatività sindacale, riprende il contenuto del Testo Unico interconfederale del 2014 ed il suo meccanismo di misurazione, che si basa sulla media ponderata di deleghe e dati elettorali che andranno comunicati non più al CNEL (in via di soppressione con la riforma costituzionale in discussione) ma al Ministero del Lavoro, il quale attribuirà un codice ad ogni contratto nazionale e ad ogni sindacato.

Mentre con l’ accordo del 2014 l’ ambito di applicazione è quello dei sindacati e dei datori di lavoro che hanno firmato il Testo Unico, questa proposta riguarda invece tutti quei datori di lavoro che applicano il medesimo contratto collettivo nazionale con lo stesso codice identificativo.

Il sistema permetterà quindi di riconoscere la nascita di nuove categorie contrattuali, come in Fiat dopo la sua uscita da Confindustria o come, ad esempio, sta avvenendo nella grande distribuzione, dopo l’ uscita da Confcommercio.

Per quanto riguarda l’ efficacia dei contratti collettivi, anche il gruppo dei giuslavoristi non prevede (ritengo come frutto di una mediazione tra le diverse scuole di pensiero) una regolazione dell’ efficacia soggettiva  del contratto collettivo nazionale, ma solo di quello aziendale.

Infatti, per quanto riguarda il contratto collettivo nazionale, viene seguito il criterio deciso dalle parti nel Testo Unico del 2014, che ha fissato al 5% la soglia al raggiungimento della quale un sindacato ha il diritto di partecipare alla trattativa (con il conseguente obbligo del datore di lavoro di accoglierlo al tavolo della stessa), diritto peraltro non seguito necessariamente dalla volontà di negoziare come nel caso di sindacati dichiaratamente antagonisti come USB o Cobas.  

Altro ambito dove è richiesto un criterio oggettivo di selezione è quello del rinvio della legge alla contrattazione collettiva per regolamentare specifiche materie, criterio che finalmente permetterebbe di certificare con misurazione oggettiva la definizione di “maggiormente e comparativamente più rappresentativo” riferito al sindacato.

Viene richiesta alle associazioni sindacali , singolarmente o complessivamente considerate, una percentuale di rappresentatività superiore al 50% nell’ ambito di applicazione del contratto collettivo e che le confederazioni, cui le associazioni aderiscono, esprimano sul piano nazionale, singolarmente o complessivamente considerate, una percentuale di rappresentatività superiore al 33%.

Poiché l’ ambito di misurazione è il singolo contratto, la percentuale del 33% di rappresentatività delle Confederazioni su base nazionale è stata adottata per prevenire un possibile fenomeno di proliferazione di contratti  di comodo, i cosiddetti contratti  “pirata” (sic !).  

Peraltro, a livello di contrattazione aziendale, gli estensori della proposta hanno ritenuto di non poter decidere un criterio selettivo a monte ma hanno adottato un criterio inverso : il contratto aziendale ha efficacia se è “democratico”, cioè se è approvato dalla maggioranza dei rappresentanti sindacali.

Il criterio della maggioranza/democraticità, sulla base di una riscritturazione dell’ art. 8 della legge n. 148/2011 sulla contrattazione di prossimità,  permetterebbe in particolare l’ efficacia erga omnes del contratto collettivo aziendale, con alcuni correttivi quali il referendum a cui si deve ricorrere qualora gli iscritti al sindacato non superino il 30% dei lavoratori e se si sia avanzata richiesta in tal senso : misura  tesa ad evitare, anche in questo caso, il pericolo di situazioni di sindacati aziendali cosiddetti “collaborativi”, le cui decisioni hanno poi valenza erga omnes.

La proposta cerca poi di dare soluzione al problema della unicità del canale di rappresentanza sindacale, che negli ultimi anni è stato oggetto di un rilevante contenzioso laburistico, pervenuto anche in Corte Costituzionale. 

Infatti, se già dal 1993 si prevedeva il superamento delle RSA con le RSU, di fatto poi non avvenuto, con questa proposta si ribadisce che può sussistere uno solo dei due meccanismi di rappresentanza. La scelta dovrà essere effettuata dalle associazioni sindacali che, singolarmente o cumulativamente, abbiano raggiunto nell’ unità produttiva il 50% più uno di rappresentatività.

Resta peraltro il diritto di costituire RSA da parte delle associazioni dei dirigenti, considerata la loro specificità.

Sono previste infine le clausole di esigibilità sia dei contratti nazionali che aziendali e le relative sanzioni, anche pecuniarie, nei confronti di inadempienze poste in essere dalle rappresentanze e associazioni sindacali o da gruppi di lavoratori che proclamano uno sciopero.

Per concludere, il valore aggiunto, rispetto al Testo Unico dell’ accordo interconfederale del 2014, di questa proposta di intervento legislativo presentata dagli illustri giuslavoristi, è la maggior cogenza attribuita ad alcune linee guida, riconoscendo doppia efficacia generale sia alle regole sia ai contenuti dei contratti aziendali.

Mentre il Testo interconfederale e le sue regole si applicano solo ai firmatari e a chi vi aderisce, e non ai dissenzienti (e forse neanche a Fiom, che ha aderito solo ad alcune parti di esso) e sicuramente non vincola ad esempio Fiat perché è fuori dal sistema confindustriale, la proposta riconosce invece efficacia generale delle regole erga omnes, sia che aderiscano o meno ad associazioni sindacali o imprenditoriali,  in maniera da non penalizzare chi le rispetta.

Il riconoscimento della efficacia erga omes dei contenuti dei contratti aziendali, se approvati dalla maggioranza delle RSU secondo il principio di democraticità, e la introduzione per legge delle clausole di esigibilità, e delle sanzioni nel  caso del loro mancato rispetto, sono oggi più che mai necessari per superare le posizioni ideologiche di quelle minoranze che remano contro la modernità, contro il futuro, contro gli interessi collettivi, e per ripristinare le condizioni di competitività e produttività necessarie per la ripresa economica.

Tocca ora a Matteo Renzi ed al suo governo il compito di provvedere, oltre ai decreti delegati del Jobs Act, anche ad una legge sulla rappresentanza sindacale e sulla efficacia della contrattazione collettiva.

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