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L’Italia non è un paese per giovani

A che serve dire che i giovani sono “mammoni” o “sfigati”? -Occorrono atti concreti che dimostrino che il lavoro d’ora in poi non si otterrà più con le raccomandazioni, che l’impegno ed il merito servono a qualcosa,che la flessibilità e la mobilità si applica a tutti e non solo ai giovani.

L’Italia non è un paese per giovani

Sembra che anche i sobri professori bocconiani e gli autorevoli alti burocrati che formano lo “strano” governo dei tecnici, siano stati colpiti dal morbo della politica-spettacolo che per due decenni ha imperversato su questo povero Paese, massacrando prima le menti e poi i comportamenti della gran massa degli italiani. Perché Fornero, Cancellieri e Martone, per cercare di far capire a tutti che bisogna cambiare mentalità, che le sfide non sono il diavolo e che non bisogna aspirare alla “monotonia del posto fisso”, ricorrono agli insulti?

A che serve dire che i giovani sono “mammoni” o “sfigati” e che il posto fisso a vita è un’illusione, se non a scatenare le solite polemiche sui mezzi d’informazione e sulla rete, che confondono ulteriormente le idee e che non fanno fare alcun passo avanti verso una seria consapevolezza della necessità di cambiare il funzionamento del nostro sistema sociale ed economico? I nostri diligenti professori forse non hanno ancora ben capito come funziona la macchina dell’informazione che in genere estrapola una frase dal discorso, la enfatizza distorcendone il significato, e ci monta sopra una bella polemica nella speranza di vendere più giornali o di fare più audience. E’ meglio che i nostri ministri continuino a fare i professori e spieghino, fino alla noia, le difficili relazioni tra decisioni ed effetti che nel campo dell’economia non sono spesso di così immediata intuizione, nemmeno per persone dotate di buona cultura.

Così Monti, con un po’ più di pazienza, non avrebbe suscitato inutile confusione tra i concetti di precarietà del lavoro e quelli di flessibilità/mobilità. La precarietà è una degenerazione dovuta proprio alla carenza di mobilità, con conseguenze gravi nel deprimere la produttività del nostro sistema economico e quindi di averci fatto precipitare nell’attuale stagnazione. E se i giovani non appaiono così dinamici ed intraprendenti come si vorrebbe, di chi è la colpa? I genitori e i nonni che cercano di proteggerli il più possibile sono certamente una causa forse permanente della nostra cultura antica, ma probabilmente non la principale. Per capire un po’ meglio come siamo arrivati a questo punto occorre guardare al sistema generale che abbiamo costruito, a come abbiamo via via bandito del tutto la meritocrazia dalla nostra società, a come abbiamo tolto qualsiasi valore alla professionalità, a come abbiamo privilegiato le clientele politiche in tutti i campi, compresi quelli delicatissimi della medicina o dell’ingegneria.

Monti ha detto in una battuta che in Italia i governi per lunghi anni hanno operato con troppo “buonismo” e che a questo si deve la mostruosa crescita del debito pubblico. E’ un concetto giusto che meritava però un maggiore approfondimento, una spiegazione più dettagliata, chiarendo peraltro che si è trattato di falso buonismo sconfinante spesso con la demagogia. E questo governo deve proprio battere la demagogia, svelare le false promesse, abbattere le illusioni nelle quali troppi nostri concittadini si sono adagiati. Ma per farlo non servono le frasi ad effetto, occorrono tanti atti concreti che dimostrino che il lavoro d’ora in poi non si otterrà più con le raccomandazioni, che l’impegno ed il merito servono a qualcosa, che la flessibilità e la mobilità si applica a tutti e non solo ai giovani.

E poiché la moneta cattiva che inquina tutto il sistema è costituita dal troppo grande e troppo opaco settore pubblico, si cominci a cambiare proprio da lì, dove peraltro il governo ha una competenza diretta. Se ad esempio si vuole affermare l’idea che il posto fisso non è più possibile (né economicamente corretto) si inizi a rivedere l’inamovibilità dei professori universitari adottando un sistema più simile a quello americano, dove, tranne rare eccezioni, le cattedre sono assegnate per un tempo determinato. Oppure si sottoponga a revisione l’intero sistema delle nomine negli enti pubblici togliendo i famigli ed i portaborse e mettendo dei dirigenti veri che accettino di essere valutati sulla base dei risultati.

E che dire poi della Rai dove tutti vengono scelti in base all’appartenenza politica e non certo in base al merito? Ma il cattivo esempio viene direttamente dalla politica. A parte lo scandalo dei rimborsi elettorali c’è un comportamento giudicato di minore importanza ma che dovrebbe invece suscitare grande scandalo: deputati e senatori pagano i loro assistenti in “nero”. Tutti lo sapevano ma solo ora si tenta di porvi rimedio. Non è una questione di soldi ma di immagine. Infatti se i rappresentanti del popolo usano disinvoltamente il”nero” che è illegale perché i cittadini non dovrebbero seguirne l’esempio? Si potrebbe continuare a lungo. Solo un’ultima annotazione che riguarda la scuola. Il buonismo qui è diventato lassismo. Noi non chiediamo ai ragazzi un impegno severo e competitivo.

La parola competizione è stata espulsa dalla scuola e si tenta di farlo anche per i grandi (senza riuscirci). Si dice che competere è stressante come se vivere senza sfide e senza stimoli non porti alla depressione dove del resto sembrano essere caduti tanti italiani da qualche anno. Come si vede il governo Monti ha tanto da fare. Il rilancio dell’economia non è solo questione di modificare il mercato del lavoro o l’introduzione di varie liberalizzazioni, ma soprattutto dipenderà da un profondo cambio di mentalità e di atteggiamenti da parte degli italiani. E’ un lavoro che i professori possono fare bene, purché non prendano i vizi del vecchio “teatrino della politica” di cui peraltro nessuno sente la nostalgia.

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