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Limiti e contraddizioni nell’economia indiana

Secondo la francese Coface, in India le profonde carenze infrastrutturali, sommate alle inefficienze di politiche energetiche e finanziarie, rappresentano l’ostacolo principale per maggiori flussi di investimenti produttivi e sviluppo del Paese.

Limiti e contraddizioni nell’economia indiana

Oggi l’India sta affrontando difficoltà economiche rappresentate da un elevato deficit di bilancio e delle partite correnti, che rallentano la performance economica e portano a galla le inefficienze strutturali del paese. Ha potuto finora godere di un grado di apertura dell’economia relativamente basso, difendendosi così dagli shock esterni, e di un  settore terziario molto avanzato che produce il 55% del PIL nazionale. Dai dati dello studio Coface di novembre, emerge come il rallentamento della crescita indiana e le conseguenti politiche monetarie restrittive lanciate nel 2010 e nel 2011 abbiano depresso crediti ed investimenti. Ma, in realtà, ciò non è altro che una conseguenza della mancanza di infrastrutture nel paese. La ripresa economica, in particolare gli investimenti produttivi, dipendono fortemente dall’attuazione dalle riforme strutturali ritardate da lentezza ed inazione del potere politico.

Un’altra causa di inefficienze va trovata nella forte dipendenza energetica, in particolare dai prezzi di petrolio e carbone. Il paese gode di giacimenti di carbone, ma non abbastanza grandi da soddisfare la domanda interna, mentre l’aumento del prezzo del petrolio e la contemporanea svalutazione della rupia non hanno fatto altro che aumentare i costi per le imprese. Il problema più grande riguarda l’aumento strutturale del livello dei prezzi (al 7,8% lo scorso settembre), dovuto alla scarsa offerta di generi alimentari, data la lentezza nel progresso del settore agricolo ed un inefficiente sistema distributivo. E le deficienze strutturali non si riflettono soltanto sui cittadini, ma anche negli affari, dove la mancanza di istituzioni efficienti ha generato un circolo vizioso e cumulativo. La maggior parte delle imprese che beneficia del sostegno governativo opera nel settore agricolo e nella piccola industria, impiegando la maggior parte della manodopera, ma producendo soltanto un terzo del PIL. Senza dimenticare che gli investimenti produttivi dipendono in gran parte dall’accesso ai mercati finanziari internazionali, mentre quelli indiani presentano tuttora grossi limiti. Sono in genere le grandi compagnie ad aver accesso ai mercati finanziari internazionali, indebitandosi e così influendo sul debito pubblico del paese, aumentato del 27% negli ultimi tre anni. Una situazione aggravata dal fatto che le banche locali sono obbligate a detenere bond governativi, che ne rappresentano più del 23% del passivo. Tanto che, nel 2011, ben il 26% delle imprese operanti in India, parlando a proposito degli arretrati nei pagamenti, ne hanno denunciato il caos manageriale del sistema creditizio.

L’economia indiana soffre la mancanza di infrastrutture, in particolare nel settore dell’energia elettrica, precludendo alle imprese un’efficiente attività produttiva e dissuadendo gli investitori locali ed esteri dall’operare nel paese. Inoltre, la situazione politica ed amministrativa mostra alti livelli di corruzione ed un peggioramento nella regolamentazione istituzionale. Emerge allora la necessità di un pacchetto di riforme strutturali che, scommettendo sulle peculiarità culturali e sulle potenzialità strategiche dell’India, siano in grado di attrarre ingenti quantità di investimenti produttivi dall’estero. Attuando, dunque, una strategia di sviluppo oculata sul piano politico, energetico e finanziario, senza tasselli infrastrutturali mancanti, ma intervenendo efficientemente sotto il profilo distributivo. Condizione indispensabile per lo sviluppo del mercato interno e dell’attrazione di investimenti produttivi, in un circolo virtuoso e cumulativo.

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