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Imprese più sostenibili con una direttiva europea. Al via la consultazione per applicarla in Italia

La direttiva Ue con standard di sostenibilità deve essere recepita dall’Italia entro luglio. Un processo innovativo con nuove responsabilità per tutte le imprese

Imprese più sostenibili con una direttiva europea. Al via la consultazione per applicarla in Italia

Primo gennaio 2024, poi 2025, infine 2026. In tre anni le imprese italiane devono mettersi al passo con la direttiva europea sulla sostenibilità delle produzioni. Il ministero dell’Economia ha in corso la consultazione pubblica sullo schema di decreto che recepisce la direttiva europea sulla rendicontazione delle società: la Corporate sustainability reporting directive, Csrd. Il primo start è già passato da due mesi, ma per l’estate la direttiva diventerà legge.

La consultazione del Mef scade il 18 marzo ed entro il 6 luglio il Parlamento dovrà recepire la direttiva nel proprio ordinamento. La Csrd è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea il 16 dicembre 2022 nell’ambito delle norme attuative del Green Deal. Indipendentemente da quello che accadrà con le elezioni del nuovo Parlamento, l’industria europea si fa carico di maggiore trasparenza verso investitori e clienti.

Oltre il bilancio di sostenibilità

Dal 1° gennaio 2024 il provvedimento si applica alle imprese con più di 500 dipendenti e agli enti di interesse pubblico. Dal 2025 l’obbligo si estende alle imprese con meno di 500 dipendenti e alle società capogruppo; dal 1°gennaio 2026 anche alle piccole e medie imprese. Tutto ciò che le grandi aziende già comunicano attraverso il bilancio di sostenibilità viene integrato con requisti che si estendono ora a tutta la catena del valore. La Consob vigilerà sulle società quotate, sulle quali – come è noto – già esercita ampia vigilanza. “Per le società non quotate ma rientranti nell’ambito di applicazione della Csrd, non è prescritta alcuna vigilanza” dice lo schema di decreto.

Perché tutto questo? Per rendere partecipi con informazioni dettagliate, comprensibili e chiare i portatori di interessi, i cittadini che investono. Per far sapere loro se, come e quanto impattano sull’ambiente le imprese che attirano la loro fiducia. L’Italia da questo punto di vista ha molti buchi da sanare per la generale disattenzione che le imprese hanno riservato all’economia sostenibile. Che non è un disvalore oppure non lo è solo se lo Stato ci mette il denaro. Dietro la nuova responsabilità ci sono soldi da spendere in innovazione, ricerca, tecnologie. Piuttosto che rodersi sugli extraprofitti, una saggia battaglia sarebbe questa di investire e molto per essere trasparenti e leggeri.

Applicare standard unici

Le imprese comunicheranno informazioni confrontabili, attendibili, facilmente accessibili e utilizzabili, dice la direttiva Ue, in modo che si valutano meglio gli investimenti e gli effetti generali sulla strategia europea. Fuor di retorica, l’obbligo di rendicontare spese, trasformazioni interne, capitalizzazioni specifiche, sono le vere novità che ogni azienda dovrà rendere pubbliche attraverso il proprio sito internet.

Il pendolo della sostenibilità, insomma, nel giro di tre anni batterà sempre di più sul sistema produttivo italiano. Si spera di superare la precedente definizione di “dichiarazione di carattere non finanziario” che dissociata dalla realtà. Nei circuiti finanziari si annidano trucchi e furberie, ma se si dice al mercato dove e come si acquistano e trasformano i prodotti, viene tutto più trasparente. È complicato ? No, se si rispettano le regole. In Europa ci sono standard comuni (Esrs) elaborati dall’European Financial Reporting Advisory (Efrag), autorità esperta e riconosciuta di principi finanziari. Gli standard vengono sottoposti a rendicontazione e la rendicontazione di sostenibilità ad assurance per avere, infine, un’attestazione di conformità. Se la legge verrà pibblicata a luglio, sarà già passato metà anno.

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