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Imprese: il 51% ha chiesto la Cassa integrazione a marzo-aprile

Secondo uno studio di Bankitalia, durante il lockdown il ric orso alla Cassa ha coinvolto il 40% dei dipendenti del settore privato e ogni lavoratore ha perso circa il 27,3% del proprio reddito lordo mensile

Imprese: il 51% ha chiesto la Cassa integrazione a marzo-aprile

A marzo e ad aprile, quando la pandemia imperversava con il massimo dell’intensità, più della metà delle imprese italiane (il 51%) ha richiesto la cassa integrazione collegata al coronavirus, la cosiddetta Cig-Covid. In tutto, la misura ha coinvolto il 40% dei dipendenti del settore privato. I dati sono contenuti in un rapporto realizzato dalla Banca d’Italia sulla base di dati Inps.

Dall’analisi emerge che il risparmio medio conseguito grazie alla Cig-Covid si aggira intorno ai 1.100 euro per ogni dipendente presente in azienda (a prescindere dall’incidenza dei lavoratori in Cig).

Le imprese di dimensioni più ridotte hanno utilizzato soprattutto la Cig-Covid in deroga, risparmiando mediamente 3.900 euro nel bimestre grazie alla riduzione dell’orario di lavoro.

Le aziende più grandi attive nei servizi, invece, hanno beneficiato prevalentemente dell’assegno ordinario Covid, arrivando a risparmiare quasi 24mila euro, poco più delle imprese manifatturiere (21mila euro).

Ogni lavoratore in Cig-Covid ha subito, in media, una riduzione oraria di 156 ore, il 90% dell’orario mensile di lavoro a tempo pieno (pari a 173 ore in marzo e aprile), perdendo circa il 27,3% del proprio reddito lordo mensile.

Dal punto di vista territoriale, la quota di imprese che ha fatto ricorso alla Cig-Covid è stata piuttosto omogenea a livello regionale: il 45% al Nord Est, il 48% al Nord Ovest, il 52% al Centro e il 55% al Sud.

Le differenze fra macroaree – pur non particolarmente ampie – si spiegano con l’eterogeneità delle imprese per quanto riguarda il settore di attività: nel Mezzogiorno, infatti, c’è una netta prevalenza di aziende attive nei settori alberghiero, della ristorazione, delle costruzioni e del commercio al dettaglio non alimentare, ossia i comparti che più hanno sofferto a causa del lockdown.

(L’analisi è basata sui microdati presenti nell’archivio dell’INPS e si riferisce a tutti gli strumenti d’integrazione salariale previsti per fronteggiare l’emergenza sanitaria Covid).

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