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Ilva, l’asta per Taranto è un derby Arvedi-Marcegaglia

L’asta della settimana prossima per lo stabilimento di Taranto è anche un derby tra Cremona e Mantova e tra due famiglie storiche della siderurgia italiana: gli Arvedi (in cordata con Del Vecchio, la Cdp e gli indiani di Jindal Steel) e gli eredi di Steno Marcegaglia (alleati del gigante Mittal-Arcelor) – Decisivo sarà il denaro fresco disponibile

Ilva, l’asta per Taranto è un derby Arvedi-Marcegaglia

Tra Cremona e Mantova ci sono poco meno di 60 chilometri ma per percorrere la vecchia strada provinciale nelle ore di punta ci vogliono quasi due ore. Così, da sempre, Cremona si è adagiata sulla autostrada Brescia-Piacenza-Torino e Mantova su quella dell’asse Brennero-Verona-Modena. Lontane e pur vicine le due città lombarde segnano la distanza anche tra i loro due “campioni” dell’acciaio in lizza per l’asta dell’Ilva di Taranto. Da un lato Giovanni Arvedi alleato con Del Vecchio e Cdp al colosso indiano Jindal Steel; dall’altro gli eredi di Steno Marcegaglia in cordata con il gigante anglo-franco-indiano Mittal-Acelor.

Per Giovanni Arvedi la sfida è quasi una seconda giovinezza che viene misurata dall’acciaio del suo innovativo impianto sul porto fluviale del Po, dalla vita del quotidiano locale e della TV, dal mecenatismo che riserva da anni per la Città di Cremona di cui, dopo la scomparsa dei Negroni, ha lo scettro non solo imprenditoriale. La sua bella casa dietro l’abside del Duomo a quattro passi dal mitico salumiere Saronni, ha ospitato tanti personaggi della economia e della finanza fin da quando entrò con soldi “personali” nel salvataggio del Corriere della Sera.

Anche nei momenti più difficili della sua “innovazione tecnologica”, quella che portò le azioni del Gruppo nelle mani di Mediobanca, di Usinor e dei Lucchini, Giovanni Arvedi non “chiuse casa” come tanti altri ma, con orgoglio e sacrificio di buona parte del patrimonio familiare, riprese saldamente nelle sue mani la propria storia di imprenditore dell’acciaio. Oggi, alla soglia degli 80 anni, si presenta come il capofila di una siderurgia privata che scommette coraggiosamente sul futuro.

Superata Mantova, a Gazoldo degli Ippoliti, terra di “scariolanti” e di contadini poveri si è costruito l’impero dei Marcegaglia. Steno, il fondatore, è uno venuto dal nulla, che ha percorso nei primi anni del dopoguerra le strade piatte della campagna in difesa dei contadini. La ricostruzione gli ha aperto le strade dell’intraprendere prima con un po’ di commercio, poi con i ferri ad U come guida delle tapparelle che spopolavano nelle case quale segno di modernità e poi coi tubi saldati.

Signore di Gazoldo, conosciuto in mezza Europa, capace di affari miliardari e di altrettanti rischi, Steno Marcegaglia non è mai diventato il Duca di Mantova perché nell’impresa quel titolo è sempre spettato prima ai Belleli e poi a Roberto Colannino, più giovane, dinamico e freddo, che teneva le assemblee del Gruppo Sogefi nella grande sala dei cavalli a Palazzo Te. Scomparso Steno Marcegaglia il Gruppo è tutto nelle mani dei figli Antonio ed Emma. I bilanci non sono più quelli di un tempo ma le relazioni politiche e sindacali coltivate da sempre in famiglia non paiono né intaccate né esaurite.

Anche gli Arvedi si erano messi nella saldatura dei tubi.Tutti e due, installati modernissimi impianti, seppero sfruttare produttivamente e fiscalmente i vantaggi competitivi conseguenti alla loro produttività e qualità rispetto a quella bassa e piena di scarti delle imprese pubbliche e della Falck. Mentre Arvedi si trasforma negli anni da utilizzatore a produttore d’acciaio, Steno Marcegaglia non si misura con l’acciaio ma ne diventa un consumatore tra i più importanti d’Europa. Quando si affaccia al rumore dei forni lo fa, come in Falck o in Magona d’Italia, come azionista o in alleanza con l’Ilva pubblica.

Nella prossima settimana i due campioni del Po si misureranno con le offerte economiche dei rispettivi schieramenti dopo che l’approccio impiantistico ed ambientale ha già dato la dimensione diversa delle due strategie proposte. Fondamentale sarà la capitalizzazione cash dell’impresa e non come frutto di conferimenti di altra natura. Sarà il danaro fresco che l’azienda avrà a disposizione per il rilancio a fare la differenza oltre che la capacità di restituire agli italiani le somme immesse nell’Ilva per salvarne l’esistenza e garantirne la continuità del dopo Riva.

Intanto gira nelle Commissioni Industria della Camera e del Senato il promemoria (che alleghiamo) che riassume le due offerte concorrenti. Lo abbiamo visto recapitare anche nei piani alti dei Ministeri e in alcune ristrette Redazioni. Le lobby sono al lavoro. In questo appunto si sintetizzano le offerte tecniche e le linee strategiche delle due cordate concorrenti per l’ILVA di Taranto. Molte delle scelte sono state da tempo anticipate da FIRSTonline e che oggi trovano conferma nel sintetico e chiaro documento. Decisivo appare quindi il passo dell’offerta economica che slitta di qualche settimana rispetto alla data annunciata per l’8 di febbraio.


Allegati: La scheda delle due offerte concorrenti per Taranto

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