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Il modo di avere una colf e non pagarla in nero c’è: la soluzione dell’app Helpling

In Italia oltre 2 milioni di famiglie hanno un collaboratore domestico, per un mercato che vale 19,3 miliardi l’anno: ma quasi un milione di questi lavoratori (il 55%) lo fanno in nero – Dopo l’allarme lanciato dal presidente Inps Tito Boeri sull’utilizzo dei voucher (“La nuova frontiera del precariato”), ecco la soluzione offerta dalla startup Helpling.

Il modo di avere una colf e non pagarla in nero c’è: la soluzione dell’app Helpling

Lavoratori domestici, l’eterno dilemma: come regolarizzarli? Da un lato i contratti di categoria, oltre che essere talvolta troppo costosi per il datore di lavoro, sono considerati poco agili per un servizio – quello delle pulizie in casa – che con la crisi è diventato di carattere sempre più occasionale. Dall’altro i voucher lavoro sono forse troppo agili, tant’è vero che questa formula con la quale si sono regolamentate le prestazioni occasionali (non riconducibili a contratti di lavoro poiché svolte in modo saltuario) riguardava l’anno scorso oltre un milione di lavoratori, contro gli appena 25.000 del 2008. “E’ la nuova frontiera del precariato”, ha ammonito lo stesso presidente dell’Inps, Tito Boeri.

Ecco dunque che in soccorso del “nero” dilagante arriva l’opzione dell’economia digitale: già da diversi mesi ha puntato forte sull’Italia, dove secondo i dati del Censis il 55% di colf, badanti e baby-sitter sono irregolari (un esercito di quasi un milione di lavoratori), la startup tedesca Helpling, una piattaforma per la ricerca e la prenotazione online di addetti alle pulizie 100% regolari. “Tutti i pagamenti sono tracciabili – spiega il country manager Alberto Cartasegna – in quanto effettuati con carta di credito o Paypal. Inoltre rilasciamo ai clienti un riepilogo di tutte le operazioni svolte, con il quale possono emettere fattura e pagare l’Iva”. La forma scelta dagli lavoratori che scelgono Helpling come intermediario è infatti quella del lavoro autonomo, con partita Iva. Sulla loro prestazione – che ha la tariffa fissa di 11,90 l’ora per i lavori ricorrenti e di 13,90 l’ora per quelli occasionali – viene applicata una commissione rispettivamente del 15 e del 30%. Il resto finisce in tasca a chi lavora, che dunque per un’ora di lavoro ha un guadagno lordo di circa 10 euro.

Il consumatore, da parte sua, spende un po’ per il servizio (in media, in una città come Roma, i servizi domestici si pagano tra gli 8 e i 10 euro l’ora) ma non ha nessuna burocrazia da affrontare, può agilmente trovare e contattare il lavoratore tramite l’app, ed è anche assicurato da Helpling sui danni. “Assicuriamo solo i danni perché per il resto il prestatore d’opera risponde personalmente, in quanto lavoratore autonomo”, specifica Cartasegna. “Utilizzare un’app come Helpling per trovare clienti e gestire i propri lavori è la soluzione che riempie l’agenda delle colf 2.0 sovvertendo la mono-committenza, offrendo libertà decisionale e fatturato diversificato e quindi più sicuro. Chiude il cerchio il cliente, l’uomo o la donna qualunque che trova tramite Helpling la sua colf di fiducia e si libera definitivamente del peso e dei costi di gestione della casa”.

La novità potrebbe rivoluzionare un settore che in Italia è tutt’altro che marginale: sempre secondo il Censis, oltre due milioni di famiglie in Italia si affidano ad un collaboratore domestico, spendendo 19,3 miliardi di euro l’anno. E se è vero che oltre la metà lo fa in nero, c’è anche da dire che non siamo gli unici: la Germania e la Francia sono ferme al 40 e al 45%, ma per esempio in Spagna la colf è irregolare nel 70% dei casi, secondo le statistiche ufficiali. La maggior parte di chi opta per il nero lo fa inconsapevolmente rispetto ai rischi, più pesanti di quanto si creda: in Italia ad esempio s’incorre in una multa pari a 5.000 euro per ciascun lavoratore occupato irregolarmente e la reclusione da 6 mesi a 3 anni ai sensi dell’art. 22, comma 12 del D.Lgs. 286/98.

“Oltre il 70% dei nostri clienti (che aveva una colf) dichiara di aver utilizzato una colf in nero prima di Helpling, solo il 3% usava i voucher, il 15% il contratto colf/badante”, rivela Cartasegna. Quello di Helpling è soltanto l’ultimo esempio di quella che a volte viene erroneamente chiamata sharing economy, ma che sarebbe più giusto chiamare Gig economy. E’ l’economia del lavoro on demand: un recente studio McKinsey dimostra che entro il 2025 piattaforme online che incrociano domanda e offerta di talenti possano rappresentare un incremento del Pil mondiale di quasi 3.000 miliardi di dollari.

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