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Il MES, la pastora e lo stigma

La lezione di economia di chi vive di pastorizia alle porte di Roma. Cos’è l’effetto stigma e perché questa volta potrebbe funzionare al contrario se decidessimo di prendere i fondi del MES

Il MES, la pastora e lo stigma

Nel Parco romano della Caffarella, un’oasi di vera campagna a pochi minuti dal Colosseo, c’è un grande gregge di pecore che va in giro liberamente brucando. Avanza compatto e, a distanza ravvicinata, si ode distintamente il rumore dell’erba addentata e strappata. Il latte diventa ottimo pecorino, venduto nei pressi dell’ovile.

Domenica 25 ottobre, che sarà ricordata come l’ultima di libertà prima del nuovo parziale (finora) lockdown, conclusa la vendita del formaggio e appurata la mia professione, la pastora domanda: «Come siamo messi con il virus?». Male, le rispondo, ma eravamo messi peggio in marzo-aprile. A riprova le mostro sul telefonino alcuni grafici sul numero vero di nuovi contagi, stimati sulla base dei morti da Covid-19, ufficiali e non. Grafici simili a quello qui sotto riprodotto.

Grafico contagi
Luca Paolazzi

«Perché non chiediamo subito i soldi del MES? Ne abbiamo bisogno». È stata la sua conclusione pragmatica. Già, perché non li chiediamo? Chi, come la pastora, deve tenere ben sotto controllo il conto delle entrate e delle uscite di un’attività ricca su tutti i fronti, eccetto che su quello economico, comprende al volo che, a questo punto, l’Italia deve contare su qualunque forma di risparmio nelle spese. A maggior ragione se è nella voce interessi passivi sull’enorme montagna del debito pubblico.

Fedele De Novellis, amico e collega in REF Ricerche, ha scomposto la maggiore spesa per interessi sul debito pubblico che l’Italia sostiene rispetto alla Germania e per quasi i due terzi (29 miliardi su 46) è spiegata dallo spread sui tassi. Solo poco più di un terzo dal maggior debito pubblico (che, in rapporto al PIL, in Italia è più che doppio di quello tedesco). Certo, c’è un legame logico ed economico tra livello del debito e livello dei tassi: più elevato debito pubblico uguale più alto premio al rischio. A maggior ragione, allora, perché non limare con i fondi MES un po’ del superiore costo del debito italiano?

C’è chi sostiene, non senza validi argomenti, che già ci sta pensando la BCE ad abbassare il costo del debito pubblico. Da quando, il 9 maggio scorso, è stato approvato dall’Eurogruppo il prestito MES, che per l’Italia può arrivare a quasi 36 miliardi di euro (2% del PIL 2019), il rendimento sui titoli decennali del Tesoro è sceso dall’1,9% allo 0,7%. Grazie agli acquisti effettuati da Banca d’Italia all’interno dei due programmi di Francoforte (l’APP rafforzato e il PEPP). Ma grazie anche alla ritrovata compattezza politica dell’Unione europea per affrontare le conseguenze economiche della pandemia.

Quindi, se prima si potevano risparmiare quasi due punti percentuali di interessi sui 36 miliardi, cioè 720 milioni di euro l’anno per dieci anni, adesso il risparmio sarebbe di “soli” 0,8 punti, ossia 290 milioni (sempre per dieci anni; in questi calcoli si è ipotizzato che il costo del prestito MES sia pure calato, da leggermente positivo a leggermente negativo).

“Solo”: e subito viene in mente la saggezza di chi conduce la pastorizia. Ma se chiedessimo in giro a chiunque in questi giorni vede sfumare, a causa delle nuove misure di distanziamento sociale, quel poco di recupero che era riuscito a conquistare nella propria attività, la risposta sarebbe identica: prendiamo questi soldi MES e con quel che non spendiamo in interessi diamo una mano a chi soffre economicamente per l’epidemia.

Tanto più che quei soldi sarebbero forniti senza condizioni: basta spenderli in sanità. E il bilancio della sanità pubblica italiana veleggia ben oltre i 110 miliardi annui. Basta raccogliere qualche fattura o qualche cedolino di stipendio e mandarli al MES.

Tutti d’accordo, allora? «S’un foss», direbbero in Romagna. Se non fosse per il rischio dello stigma. Lo stigma? E cosa è? Chiederebbe la pastora.

Stigma è una parola importata in italiano dal latino, tale e quale. E vuol dire marchio. Marchio in che senso? Per esempio: marchio di fabbrica è una forma di garanzia sull’origine della produzione. I tedeschi hanno fatto una fortuna con il marchio, sinonimo di qualità teutonica. E ben lo sanno tutte le aziende che, con la pubblicità, cercano di affermare il loro marchio.

Addirittura da «stigma» arriva «stimmate»: i segni divini che compaiono sui corpi dei santi (non solo della religione cristiana). Dal buono all’ottimo. Perché allora dovremmo avere paura dello stigma?

In economia e in finanza, lo stigma è una sorta di marchio di infamia. Più che un segno è uno sfregio. Che viene impresso a fuoco su chi chiede un aiuto perché non ne può fare a meno. Perché la stessa richiesta di quell’aiuto viene interpretata dai creditori come un segno, appunto, di estrema difficoltà. Se, a seguito della richiesta dei soldi MES, scattasse sul debito del Paese l’effetto stigma, i titoli della Repubblica italiana verrebbero venduti e il beneficio del minor costo del MES diverrebbe un maleficio attraverso l’aumento dei tassi su tutte le nuove emissioni di debito.

Ne ha parlato estesamente in questo senso anche il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ospite a settembre del Festival dell’Economia a Trento. Ma ha anche detto chiaramente che sul piano economico il MES è vantaggioso, non solo perché si pagano tassi più bassi, ma anche perché una fetta di debito pubblico, per quanto piccola, non dovrebbe essere raccolta sul mercato. E poi, con la rete di sicurezza tesa dalla BCE, nessuno si sognerebbe di scommettere contro i BTp.

Anzi, potrebbe succedere esattamente il contrario: domandando i fondi del MES l’Italia dimostrerebbe un’assennatezza inaspettata, meritando il plauso degli investitori. Uno stigma al contrario, come ha suggerito Paolo Onofri in un recente webinar di Prometeia proprio su questo tema. Un’indicazione in tale direzione è arrivata a fine maggio: quando si diffuse la notizia che Cipro aveva intenzione di chiedere l’aiuto MES per le spese sanitarie, i titoli ciprioti schizzarono all’insù.

Se, alla luce di tutto ciò, siete ancora contrari al ricorso ai fondi del MES, andate a spiegarlo alla pastora nel Parco della Caffarella. E non abbiate paura: i cani non mordono. Certo, i montoni potrebbero non prendervi in simpatia.

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