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I fatturati della moda ormai si fanno in Asia. Radiografia del settore alla vigilia delle sfilate a

E’ l’ancora di salvezza per il made in Italy, alla vigilia delle sfilate milanesi – Per Ferragamo e Prada il Far East e dintorni rappresentano il primo mercato – Per il resto, una buona dose di incertezze – A fine anno il settore dovrebbe registrare una crescita del 4% ma soprattutto per il forte aumento del costo delle materie prime e, quindi, dei listini

I fatturati della moda ormai si fanno in Asia. Radiografia del settore alla vigilia delle sfilate a

Si potrebbe dire che in questo momento, alla vigilia delle sfilate milanesi, l’unica certezza sia l’incertezza. Molte incognite si affacciano sul futuro della moda italiana che, secondo le stime di Michele Tronconi, presidente di Sistema moda Italia (Smi), dovrebbe comunque chiudere l’anno con una crescita complessiva del 4% circa. Crescita che però è in gran parte trainata dall’effetto prezzi, cioè dal forte aumento del costo delle materie prime e quindi dei listini.
I dati appena resi noti dall’ufficio studi di Smi relativi al commercio estero del tessile-moda nei primi sei mesi dell’anno indicano un aumento dell’export di prodotti tessili del 13,8% in valore (a 5,2 miliardi di euro) che però si ferma a +5,7% se calcolato in tonnellate. Lo stesso vale per l’abbigliamento: +14,3% in valore fino a sfiorare 8 miliardi di euro, +7,7% in quantità. Il saldo resta sostanzialmente invariato a poco meno di 3 miliardi, visto che lo stesso discorso si applica alle importazioni, spiega Tronconi.
Questo significa che, se i prezzi si stabilizzano, l’anno prossimo rischia di afflosciarsi? Il timore esiste, ma non è detto che così avvenga. Intanto perché nei Paesi emergenti continua a crescere il numero di nuovi ricchi, tutti potenziali clienti di status symbol e quindi di made in Italy. Che in questo senso mantiene un valore importante e riconosciuto, sottolinea Michele Norsa, amministratore delegato di Ferragamo .
Dalle relazioni semestrali delle grandi griffe quotate, che registrano ottimi risultati, emerge chiaramente che i fatturati oggi si fanno all’estero, o meglio nel Far East. L’area Asia-Pacifico è il primo mercato come ricavi per Ferragamo e per Prada. Norsa ne è convinto: nonostante la grandissima volatilità dei mercati il settore del lusso oggi è in grado di tenere più di quanto lo fosse qualche anno fa, non solo perché ci sono più nuovi ricchi ma anche perché i consumatori del lusso, come i cinesi, sono meno “local”, si spostano di più in giro per il mondo. Una previsione confermata da HSBC che stima una crescita della domanda di beni di lusso del 15% quest’anno e dell’11% l’anno prossimo.
Quella che invece sembra destinata a soffrire, e ha già cominciato a perdere qualche colpo, è la fascia media e medio bassa del mercato della moda, più legata ai consumi interni, inevitabilmente destinati a subire i contraccolpi di una consistente perdita di reddito. E privata, in questo momento, di ogni possibilità di aiuto per cercare sbocchi all’estero. La chiusura dell’Ice (l’Istituto per il commercio estero) senza la creazione di un organo sostitutivo ha fatto sì che ora tutti i finanziamenti per la promozione siano bloccati (a parte qualche cosa da parte del sistema camerale). E questo mentre Francia e Germania, nostri diretti concorrenti sui mercati internazionali, hanno raddoppiato o triplicato i fondi per la promozione all’estero.
Risollevare i consumi in patria oggi non sembra facile , anzi, l’unica speranza, per Tronconi, è data dai non residenti. Cioè i turisti. . Vendere un’emozione serve anche a vendere abiti o cibo. Ma l’Italia non sembra esserne troppo consapevole.

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