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Debito pubblico e ricchezza privata: la realtà da non dimenticare

Non basta considerare il rapporto debito-Pil per ragionare sulla sostenibilità della nostra esposizione finanziaria: contano anche il costo del debito e l’attenzione alla sua composizione e alla sua distribuzione geografica e non – Ogni passo falso in politica economica può costare caro

Debito pubblico e ricchezza privata: la realtà da non dimenticare

Poiché il dibattito di politica economica già sta avviando sulla prevista dimensione del debito pubblico italiano che si sta accrescendo per contenere la pandemia e che si accrescerà ulteriormente per l’utilizzo del Recovery fund, è opportuno fin da ora ritornare ai temi, sovente trascurati, riguardanti sia la gestione, sia la composizione e la sua distribuzione geografica e tra i detentori dei titoli pubblici; soggetti questi ultimi che ovviamente considerano siffatti titoli pubblici una componente della loro ricchezza finanziaria privata. Tra questi vanno ricordate sia le banche centrali, sia le famiglie risparmiatrici, così come le imprese finanziarie e non finanziarie, italiane o non italiane che siano. 

Sono titoli pubblici in mani private pronte a liberarsene velocemente qualora le più diversa combinazione di rischio e rendimento lo suggerissero, caso mai per qualche invasione di campo della politica economica di stampo popolar-sovranista. Come ai tempi non troppo lontani dei minibot che ebbi occasione di commentare su questa testata.

Il Rapporto sul debito pubblico del 2019 curato dal MEF (ora online) può aiutare le decisioni di politica ad uscire dalla sovrasemplicazione narrativa del problema della sostenibilità del debito pubblico. Problema troppo spesso ridotto al rapporto debito pil, cresciuto dal 105 % nel 2004 al 134% nel 2019.

Con riferimento alla composizione dello stock del debito pubblico, i dati riferiti agli ultimi tre anni confermano la preponderanza dei BTP nominali e pluriennali che mediamente rappresentano il 61-62% delle emissioni lorde, seguite dalle emissioni di Bot per circa il 34-35%: questi ultimi, come noto, a breve scadenza, liquidi e facilmente liquidabili allo stormir delle più dissennate dichiarazioni dei responsabili delle politiche economiche.

Si aggiunga, ad esempio, che nel caso della emissione dei BTP Italia al 20 ottobre 2024 gli investitori istituzionali hanno pesato per il 55-56% mentre i sottoscrittori retail (spesso famiglie risparmiatrici) hanno pesato per il rimanente 44% (cfr. Rapporto  cit. p..68). Tra gli investitori istituzionali le banche ne sono la componente largamente maggioritaria (55%), seguite dai fondi d’investimento col 23% circa, da banche centrali ed altre istituzioni pubbliche (9%) e hedge fund (8%), mentre il restante 5% è andato ad assicurazioni e fondi pensione.

Con riferimento alla distribuzione geografica la presenza italiana è risultata dominante anche nella parte istituzionale, con il 76% della domanda, seguita dall’8% circa che è andato ad investitori britannici e un’analoga percentuale è stata distribuita in diverse aree dell’Europa continentale.

Nel caso invece di emissioni sindacate da banche il BTP con scadenza 2035 è stato sindacato per il 36,3 % in Italia, il 24,9% nel Regno Unito e per il 21,3% in Germania. (cfr. Rapporto p.58).

Se alla crescita del Pil concorreranno in modo determinante le risorse accuratamente allocate dei fondi del Recovery fund, non si dimentichi infine che nel medio e lungo periodo il rapporto ,da affiancare a quello debito-Pil, è quello che la buona letteratura economica segnala da tempo. Ovvero il rapporto tra costo medio del debito pubblico rapportato al tasso di crescita monetaria del Pil. Questo rapporto che era dello 0,88 nel 2017, dell’1,07 nel 2018 e dello 0,93 nel 2019, segno della turbolenza politica di quell’anno 2018 alimentata anche dalla corsa indiscriminata a mettere le mani sui fondi attesi dalla UE. Rapporto che potrebbe di nuovo superare l’unità qualora gli annunci della politica economica sull’utilizzo dei nuovi debiti non fossero in conseguenza delle riforme richieste dalla Ue.

In altre parole, la sovranità sui titoli del debito pubblico italiano è forzatamente condivisa e condizionata con quella in mani private altrui pronte a muoversi con immediatezza e attente a non trascurare anche i più sgangherati annunci come quelli sui minibot sull’oro alla patria di mussoliniana memoria.  

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