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COP26: con i cambiamenti climatici raddoppiata in Italia la produzione di frutta tropicale

L’Italia…si avvicina all’Africa. Avviate coltivazioni di frutta tropicale un tempo importata dai paesi terzi. 1000 ettari fra Sicilia, Puglia e Calabria per 900.000 tonnellate, assorbite dal mercato nazionale. Dal recupero di terreni abbandonati, nuove opportunità per i giovani.

COP26: con i cambiamenti climatici raddoppiata in Italia la produzione di  frutta tropicale

L’agricoltura africana e quella italiana sono diventate un tutt’uno, non ci separa più il Mediterraneo. Antò, fa caldo. Così recitava un indimenticabile spot pubblicitario di qualche anno fa, che sponsorizzava un prodotto per rinfrescarsi durante l’estate. Nel frattempo, però, per via dei cambiamenti climatici, le estati italiane (e di tutto il mondo) sono diventate sempre più roventi, cambiando non solo le nostre abitudini (oggi non basta più il tè freddo, serve l’aria condizionata nei giorni peggiori…) ma anche le caratteristiche stesse del nostro territorio e delle nostre coltivazioni

Oramai con il cambiamento climatico in atto da qualche decennio quei frutti che un tempo si chiamavano tropicali e li potevi trovare nei negozi specializzati oggi sono tranquillamente coltivati in Italia e non solo nelle estreme propaggini della penisola. Di fatto le coltivazioni di frutta tropicale in Italia sono raddoppiate in meno di tre anni con un boom di oltre mille ettari fra Puglia, Sicilia e Calabria. Dalle banane al mango, dall’avocado al lime, dal frutto della passione all’anona, dalla feijoa al casimiroa, dallo zapote nero al litchi, fino alla melanzana thay (variante thailandese della nostra melanzana), alla macadamia (frutta secca a metà tra mandorla e nocciola) e addirittura alla canna da zucchero per un consumo totale stimato in oltre 900mila tonnellate a livello nazionale.

Se ne è parlato in occasione degli Stati Generali dei florovivaisti italiani sul futuro verde delle città a Giarre (Catania) in riferimento agli impegni sul clima della Cop 26 a Glasgow con la presentazione delle produzioni di tropicali italiane e la preparazione in diretta della prima macedonia di frutti esotici Made in Italy, alla presenza del presidente della Coldiretti Ettore Prandini e del Ministro delle Politiche agricole Stefano Patuanelli.

Sempre più spesso nelle regioni del Sud – sottolinea la Coldiretti – prima si sperimentano e poi si avviano vere e proprie piantagioni di frutta originaria di lontani paesi tropicali. A far la parte del leone in questo nuovo fenomeno è la Sicilia, con coltivazioni ad avocado e mango di diverse varietà nelle campagne tra Messina, l’Etna e Acireale, ma anche a frutto della passione, zapote nero (simile al cachi, di origine messicana), sapodilla (dal quale si ottiene anche lattice), litchi, il piccolo frutto cinese che ricorda l’uva moscato.

Il tutto grazie all’impegno di giovani agricoltori che hanno scelto questo tipo di coltivazione, spesso recuperando e rivitalizzando terreni abbandonati proprio a causa dei mutamenti climatici e in precedenza destinati alla produzione di arance e limoni. Una scelta per rispondere all’esigenza di oltre sei italiani su 10 (61%) che acquisterebbero tropicali italiani se li avessero a disposizione invece di quelli stranieri. Secondo un sondaggio Coldiretti-Ixè. Il 71% dei cittadini sarebbe inoltre disposto a pagare di più per avere la sicurezza dell’origine nazionale dei tropicali. Una tendenza motivata dal maggiore grado freschezza ma anche dalle preoccupazioni sulle garanzie di sicurezza del prodotto importato.

La novità non è solo italiana e sta interessando anche altri Paesi europei, come la Spagna. Nel Paese iberico si passerà presto dalle arance alla papaya: le campagne a causa delle temperature più calde sono in piena rivoluzione culturale, così se raddoppiano le produzioni di mandorle nell’ultimo triennio in Castiglia, i nespoleti nell’area di Alicante si trasformano e diventano culture subtropicali come mango e papaya. Altri esempi: il clima della catena montuosa di Cuenca, con inverni freddi e precipitazioni minime, è diventato molto buono per il tartufo selvatico, mentre nella regione di Toledo stanno nascendo molte piantagioni di pistacchi, mandorle o uliveti, che hanno sostituito i tradizionali cereali.

“Il fenomeno degli alberi esotici Made in Italy, spinto dall’impegno di tanti giovani agricoltori – commenta il presidente della Coldiretti Ettore Prandini – è un esempio della capacità di innovazione delle imprese agricole italiane nell’affrontare in maniera costruttiva i cambiamenti climatici nonostante le difficoltà e i danni causati da eventi meteo sempre più estremi che negli ultimi dieci anni hanno provocato oltre 14miliardi di euro di danni al nostro sistema agroalimentare”

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