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Contador è il grande favorito del Tour, ma la sua vera sfida è cancellare l’ombra del doping

di Aldo Bernacchi – La corsa francese è un evento mediatico preceduto solo dalle Olimpiadi e dai mondiali di calcio – La maglia gialla di quest’anno è l’ultima sponsorizzata dalla Nike e per la prima volta Qatar Airways è il partner commerciale – Sul ciclismo e sul campione spagnolo, che ha già vinto il Tour tre volte, pende però l’incubo del doping

Parte il Tour n. 98 con il suo carico di fascino e di business, evento mediatico planetario preceduto solo dalle Olimpiadi e dai campionati del mondo di calcio, irradiato dalle tv di quasi duecento Paesi. Sarà l’ultimo Tour della maglia gialla sponsorizzata da Nike che dall’anno venturo verrà rimpiazzata da Le Coq Sportif. Sarà il primo Tour per Qatar Airways, nuovo partner commerciale della corsa francese, che metterà al servizio i propri aerei per trasferire ciclisti e suiveurs da Grenoble a Parigi per la passerella finale sui Campi Elisi. Sarà con ogni probabilità anche il quarto Tour di Alberto Contador che l’ha già vinto tre volte: 2007, 2009 e 2010.

Tutti i pronostici sono per lo spagnolo, che quest’anno ha trionfato al Giro d’Italia e che si candida a entrare nel novero ristretto di campioni capaci di vincere nello stesso anno le due maggiori corse a tappe del calendario mondiale. L’ultimo fu Pantani nel 1998. L’unica minaccia al suo strapotere potrebbe essere rappresentata dal lussemburghese Andy Schleck, che l’anno scorso è arrivato secondo dietro allo stesso Contador e che perciò, proprio per quell’incubo doping che costantemente pesa come un macigno sul Tour e su tutto il ciclismo, teoricamente ha ancora qualche chance di vedersi assegnata la maglia gialla per via di quelle tracce infinitesimali di clenbuterolo trovate nelle urine di Contador in uno dei tanti controlli durante l’ultimo Giro di Francia.

Il “matador” si è difeso sostenendo la tesi dell’assunzione involontaria, mangiando una bistecca basca. Messo di fronte all’ipotesi di una sospensione e dell’annullamento della sua terza vittoria in terra di Francia, Contador ha minacciato di ritirarsi a 28 anni pronto a rinunciare a guadagni di 7-8 milioni di euro annui tra ingaggi e sponsorizzazioni. Ma a differenza di quella italiana che non diede alcun sostegno a Pantani, colto con un ematocrito al di là della norma nella fatale tappa di Campiglio del Giro d’Italia del 1999, la Federazione spagnola si è guardata bene dall’affossare il suo campione, anzi l’ha difeso e gli ha creduto. E Contador si è subito rimesso in sella tornando a vincere.

Ma un’ombra, che è un brutto sospetto, lo accompagna da un anno e alla conferenza stampa della vigilia del Tour, gremita di giornalisti e tv, Contador è apparso più nervoso del solito. Ha ripetuto di essere pulito e super controllato, ma non sono mancati fischi di incredulità. Contro l’assoluzione spagnola pende il ricorso dell’Uci, la federazione mondiale di ciclismo, e della World Anti-Doping Agency (Wada), l’organo internazionale costituito dal Cio nel 1999 per combattere il doping sportivo. Ricorso che verrà esaminato dal Tas ai primi di agosto, a Tour finito.

Il ciclismo, anche mettendo a repentaglio la sua credibilità, si è ormai abituato a rettificare a tavolino la classifica fissata sulla strada. Il Tour, dopo il settennato in giallo di Armstrong – il texano che vinse il cancro sfiorato da tanti sospetti ma mai pescato in fallo ai mille controlli cui è stato sottoposto – ha visto trionfare nel 2006 un emerito outsider come Floyd Landys. Ma l’americano venne smascherato dai risultati delle analisi: dopato e sospeso per due anni. Tra processi e ricorsi si dovette però attendere il settembre del 2007 per assegnare la vittoria al secondo classificato, lo spagnolo Oscar Pereiro. Landys, uscito dal giro, divenne una velenosa gola profonda: denunciò le pratiche dopanti alla Us Postal, la squadra diretta da Johan Bruyneel, un autentico laboratorio di istruzione quotidiana all’uso di Epo, steroidi e trasfusioni. E guarda un po’ chi sarebbe stato il maestro di Landys: nientemeno che Lance Armstrong. Anche nel Tour del 2007 ci fu l’ennesimo trappolone: il danese Michael Rasmussen stava dominando la corsa ma sul più bello la sua squadra, la Rabobank, lo allontanò in maglia gialla perché aveva barato con il domicilio “genetico” (i corridori hanno l’obbligo di essere sempre reperibili per i controlli). Poi si scoprì che il danese aveva fatto uso di “Dynepo”, un’Epo di seconda generazione come la Cera. Via Rasmussen, iniziarono le fortune di Contador, che da allora divenne il numero uno al mondo ma che in quel Tour era stato staccato sull’Aubisque da Rasmussen, che un asso non era.

Che il ciclismo sia malato di doping è nei fatti. Rari davvero i big che non siano stati pizzicati almeno una volta in carriera. Molti sono recidivi. Difficile sfuggire agli strumenti delle analisi sempre più sofisticati tanto che, come nel caso di Contador, basta “una bistecca” contaminata per inguaiare il numero uno dei nostri giorni. Un tempo riuscì quasi a farla franca quel furbone di Michel Pollentier, vincitore nel 1977 del Giro d’Italia, che si drogava come un cavallo ma che con un impianto di pompette sotto la maglia riusciva a espellere la pipì pulita di chissà chi al posto della sua. Siamo alla fine degli anni Settanta. Medici stregoni, personaggi spregiudicati, direttori senza scrupoli, corridori pronti a ogni pratica, anche la più avvilente e dolorosa, pur di emergere un giorno: il ciclismo è sembrato a tutt’oggi incapace di redimersi. Sparge ancora veleni l’Operacion Puerto, esplosa nel 2006 alla vigilia del Tour, che è costata la fine della carriera a Jan Ullrich e un’amara odissea a Ivan Basso, che torna quest’anno in Francia con qualche speranza, per le frequentazioni con il medico spagnolo Eufemiano Fuentes e le sue ricette miracolose.

Sconvolgente è la ricaduta nel doping di meteore come Riccardo Riccò capace di farsi male, rischiando la morte, pur di praticarsi un’autotrasfusione di sangue conservato da giorni in frigo. Nelle reti dell’antidoping finì anche il grandissimo Mercx, il “cannibale” che nel Giro del 1969 venne espulso in maglia rosa al termine della tappa di Savona. Fu il primo caso che fece scalpore anche perché il doping veniva per la prima volta punito e represso. Da decenni si sapeva che il mondo delle corse era pieno di simpamina e anfetamine, ma si tollerava l’uso di quella pozione magica che gli addetti ai lavori chiamavano “bomba”. Ti faceva volare un giorno, all’indomani ti puniva con una cotta spaventosa. Fino al giorno in cui Tommy Simpson ne abusò a tal punto da morire sul Mont Ventoux nel Tour del 1967. Il ciclismo non poteva più far finta di niente di fronte a una piaga che stava dilagando e inquinando l’ambiente. La “bomba” era diffusa, senza che ne nessuno si scandalizzasse più di tanto, anche ai tempi degli epici duelli tra Coppi e Bartali. Su Youtube si può rivedere il duetto canoro che i due grandi rivali fecero nel novembre 1959 al Musichiere di Mario Riva. Sulle note della celebre “Come pioveva”, Coppi canticchiava: “Giri d’Italia ne ho vinti tanti, senza mai prendere droghe ed eccitanti” e Bartali gli replicava “Giri d’Italia lui sì che vinceva, ma la prendeva, ah se la prendeva”. Ma nessuno ha mai osato a metter in dubbio il valore dei successi di Coppi ed Bartali. Oggi non è più così e di fronte a un’impresa sui pedali ci si chiede: sarà vera gloria? II ciclismo di oggi , proprio perché è la disciplina sportiva più lacerata dal doping e da pratiche sporche, si è assunto il compito di guidare la lotta alle sostanze proibite, anche a costo di veder messa in dubbio qualsiasi vittoria, processando i suoi campioni e sconvolgendo l’intero movimento fino ad apparire autolesionista.

Alla vigilia del Tour l’Uci ha stretto ulteriormente le maglie, convinta che il rigore nello scoprire e la severità nel punire siano l’unica strada vincente per sradicare il male. Se questa è la via maestra, diventa però difficile credere alla buona fede di Contador e alla storia della bistecca basca contaminata come invece pare propendere personalmente anche il presidente dell’Uci, Pat McQuaid. Una fiducia che si basa su elementi scientifici a sua conoscenza o dettata solo da convenienti ragioni di business? Almeno per ora, è meglio incolpare il vitello. Fa comodo anche agli organizzatori del Tour che muove oggi le prime pedalate dalla costa atlantica e che avrà nell’Alpe d’Huez e l’arrivo sul mitico Galibier i momenti più attesi. Ma i fischi a Contador dicono che i sospetti sono almeno pari alla speranza che su quelle vette vinca l’epica e non l’epo. Illusorio pretendere di più in una società sempre più avvezza a far ricorso a una pillola blu anche per fare l’atto più antico e naturale del mondo.

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