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Centro Studi Baldassarri – Tre mosse per accelerare davvero la crescita

Taglio della spesa pubblica improduttiva di 40 miliardi di euro da utilizzare per ridurre le tasse, abbattimento del debito pubblico di 300 miliardi con un fondo immobiliare, svalutazione dell’euro verso la parità con il dollaro: sono le tre proposte presentate oggi alla Febaf dal Centro studi Economia Reale di Mario Baldassarri per tornare a crescere.

Centro Studi Baldassarri – Tre mosse per accelerare davvero la crescita

Ci sono alcuni timidi segnali di miglioramento dell’economia italiana, ma questi sono sufficienti ad assicurare una ripresa dell’occupazione che è a livelli socialmente insostenibili? Le analisi condotte dal Centro studi Economia Reale presieduto dal prof. Mario Baldassarri, presentate presso la Federazione Banche, Assicurazioni, Finanza, ci dicono che un certo miglioramento si avverte, ma che si tratta di un progresso troppo modesto per portare a risultati affidabili sulle variabile finanziarie del deficit e del debito pubblico, e sicuramente inadeguati per quel che riguarda la crescita e quindi la creazione di nuovi posti di lavoro.

Baldassarri ha stimato gli effetti della legge di stabilità appena approvata dalla Camera, e delle riforme strutturali in cantiere come il Jobs act, Giustizia, riforma PA e decreto competitività, giungendo alla conclusione che la spinta che da questi provvedimenti potrà arrivare è modesta, come del reato lo stesso Governo ammette quando nel DEF stima una crescita nel 2015 di appena la 0,6% che peraltro viene ridotta a poco più di zero dall’ analisi di Economia Reale. Insomma si tratta da parte del Governo Renzi di una strategia troppo prudente e priva di un vero cambiamento di passo. Baldassarri propone tre misure che potrebbero accelerare il nostro tasso di crescita: in primo luogo maggiori tagli alla spesa pubblica per 40 miliardi da girare a riduzione delle tasse sulle imprese e sui cittadini, un abbattimento del debito di 300 miliardi attraverso un fondo immobiliare per offrire ai cittadini su base volontaria la possibilità di cambiare i propri titoli pubblici con azioni del Fondo, ed infine una pressione internazionale per riportare l’Euro verso la parità con il dollaro.

A parte quest’ultimo suggerimento che in realtà spetta a Draghi il quale in effetti deve poter accelerare l’attuazione degli obiettivi più volte annunciati, mentre finora la Bce ha fatto una politica sostanzialmente restrittiva, gli altri due suggerimenti riguardano direttamente le scelte che spetta a Renzi fare. Sicuramente il Presidente del Consiglio appare dotato di coraggio e determinazione che però non ha utilizzato in maniera adeguata in campo economico. Sul taglio delle spese non è stato incisivo, e si è fatto ingabbiare dalle Regioni che pure subiranno una riduzione di soli 2 miliardi rispetto al 2014. Infatti si è continuato con l’inganno di calcolare i tagli rispetto alle previsioni tendenziali e non alla spesa effettiva dell’anno precedente. In questo modo se gli uffici prevedono un incremento di spesa del 10% e si taglia il 5% ci sarà comunque un incremento delle spese del 5%.

Baldassarri propone di tagliare le spesi di 40 miliardi. Dalle Regioni potrebbero venire 20 miliardi, senza tagliare i servizi per i cittadini, ma incidendo sui mille rivoli di spesa inutile che vengono effettuati. Ad esempio le Regioni danno ogni anno 17 miliardi di sostegno alle attività produttive che servono a poco o nulla e che potrebbero essere tagliati senza problemi (a parte quelli della clientela degli assessori). Anche sulla sanità la sola applicazione dei costi standard potrebbe far risparmiare circa 10 miliardi. Anche lo Stato può ridurre parte dei trasferimenti alle imprese potenziando in cambio gli investimenti pubblici e procedendo con l’abolizione completa dell’IRAP, la tassa più invisa agli imprenditori.

Secondo il modello econometrico di Baldassarri solo questo provvedimento porterebbe la crescita del prossimo anno all’1,2% con una buona creazione di posti di lavoro. Crescita che sarebbe ulteriormente rafforzata dall’avvio di una seria politica di riduzione del debito pubblico, per poi avere una spinta ancora più forte nel caso si riuscisse a ridurre la forza dell’Euro spingendo il cambio con il dollaro sotto 1,20 già dal prossimo anno per poi arrivare alla parità nel 2017.

Queste sono più che previsioni puntuali degli esercizi che dimostrano che l’Italia ha bisogno di decisioni politiche ancora più coraggiose anche se molti degli intervenuti nel dibattito, da Fortis a Messori da Emilio Rossi a Pierluigi Ciocca, da Stefania Tomasini a Marco Simoni, da Paolo Savona a Sergio De Nardis, hanno sottolineato veri aspetti critici sottolineando però in media un qualche elemento di ottimismo derivante soprattutto dal forte calo del prezzo del petrolio che da solo potrebbe valere uno (0,4% in più), e dall’indebolimento dell’Euro.

L’ Europa ha fatto in questi anni molti errori dovuti soprattutto alla sua lenta e farraginosa Governance, che conduce in genere a compromessi al ribasso di dubbia efficacia, ma ora qualcosa si muove come dimostra il piano Juncker, che per quanto modesto, segnala in ogni caso un cambiamento di atteggiamento da parte di Bruxelles. Nel complesso però l’opinione prevalente appare concorde nell’affermare che, a parte le ulteriori mosse di Draghi, non possiamo aspettarci molto dall’Europa e dal resto del mondo. Dobbiamo fare da soli anche cercando di modificare la nostra reputazione internazionale e quindi ripristinare la fiducia verso le prospettive del nostro paese.

Su questo ha insistito Luigi Abete presidente della Federazione che ha ospitato il seminario, sottolineando che proprio per motivi reputazioni noi non possiamo permetterci di violare in maniera unilaterale il vincolo del 3% del deficit, che sarebbe controproducente aprire nel governo un dibattito esplicito sull’uscita dall’Euro, anche solo come arma di pressione verso Bruxelles, che bisogna affiancare alle riforme una politica di sostegno delle piccole e medie imprese, specie per favorire il loro accesso al credito, e che infine occorre che noi stessi, politici, sindacalisti, giornalisti, imprenditori, riuscissimo ad impostare le nostre polemiche senza danneggiare la reputazione complessiva del Paese, come purtroppo capita spesso. Basta vedere quanto è avvenuto già da diversi anni con l’articolo 18, che abbiamo fatto diventare un comodo alibi per tutti quelli che guardano l’Italia da fuori e non hanno tempo da perdere ad interpretare tutte le nostre battaglie di principio. Insomma dice Abete, noi stessi dobbiamo cominciare a parlare non solo di quello che manca, ma anche a valorizzare quello che stiamo facendo. Le aspettative sia degli imprenditori che dei consumatori, si cambiano anche cercando di vedere la parte mezza piena del bicchiere!

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