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Brasile: la crescita è prevista dal 2016

Le recenti elezioni in Brasile hanno impedito l’approvazione delle riforme strutturali di cui il paese avrebbe bisogno per ritornare competitivo sui mercati. Nel frattempo PIL e consumi rallentano e l’inflazione rimane ancora alta. La crescita è prevista solo dal 2016

Brasile: la crescita è prevista dal 2016

Il Brasile ha concluso il 2014 con riforme bloccate, PIL stagnante, investimenti in calo e consumi in frenata. La crescita tornerà solo dall’anno prossimo. E’ questo il succo del focus sul paese pubblicato da Intesa SanPaolo, Direzione Studi e Ricerche, a cura di Giancarlo Frigoli.
Il presidente Dilma Rousseff ha ottenuto, nel 2014, il suo secondo mandato quadriennale, battendo di poco ( 51,6% ) il suo rivale, il Senatore Neves. Il nuovo Governo si è insediato a inizio gennaio. Le divisioni all’interno del partito del Presidente, il Partido dos Trabalhadores, e la frammentazione del quadro politico sembrano ostacolare le riforme strutturali di cui l’economia brasiliana necessita per ritornare a crescere e migliorare la competitività del paese.
A rendere più che mai urgenti tali riforme è l’abbassamento dei prezzi delle materie prime, che per il Brasile rappresentano circa tre quarti delle esportazioni del Paese. Le stime preliminari sul 2014 registrano l’arrestarsi della crescita del PIL. Le stime parlano di un modesto +0,2%, rispetto al +2,3% del 2013. L’attuale assenza di misure di sostegno fiscale e creditizio ha, senza dubbio, contribuito alla frenata. Dal lato della domanda, il rallentamento del PIL è dovuto principalmente al calo di investimenti (-7,3% anno/anno da gennaio a settembre 2014) e a una frenata del consumo privato (a +1,2% a/a nei primi tre trimestri del 2014 dal 2,6% nello stesso periodo del 2013). Da quello dell’offerta, si è verificata una diminuzione sia delle costruzioni (-4,9% a/a) che della produzione manifatturiera (-3,2%), principalmente dovuta al settore auto. Anche la produzione agricola (+1% da +8,5% del 2013) e i servizi (+0,9% da +2,2%) hanno fatto registrare una brusca frenata. Il commercio estero, invece, ha agito positivamente sul PIL (+0,5 punti percentuali): diminuiscono le importazioni (-0,1%) a causa del calo della domanda interna di beni intermedi e crescono le esportazioni (+2,8%).
Secondo dati preliminari, il Brasile non raggiungerà gli obiettivi di bilancio che si attendeva all’inizio del 2014, registrando un deficit complessivo che secondo le stime sarà pari al 5,5% del PIL. Il saldo primario del paese ha chiuso, invece, con un deficit dello 0,2% del PIL. Il mancato raggiungimento degli obiettivi di bilancio è dovuto in parte alla crescita inferiore rispetto a quella prevista, in parte alla maggiore spesa pubblica per via delle elezioni parlamentari. Il Ministro delle Finanze, Joaquin Levy, ritenuto un conservatore, ha indicato come obiettivo per il 2015 introiti fiscali pari all’1,2% del PIL.
Il tasso d’inflazione, che spaventa mercati e famiglie, ha chiuso il 2014 al 6,4%, nettamente al di sopra della fascia obiettivo (da -2,5% a 4%). Gli analisti prevedono che la crescita dei prezzi rimarrà costante anche nel 2015, per poi scendere al 5,7% nel 2016. La Banca centrale, durante tutto l’anno 2014, ha perseguito una politica monetaria restrittiva. Il tasso SELIC è all’11,75%, il livello più alto dal 2009. Tale impatto restrittivo della Banca Centrale è però controbilanciato dai rifinanziamenti governativi a BNDES, la Banca Brasiliana per lo Sviluppo che, a sua volta, elargisce finanziamenti a tassi (5%) di gran lunga inferiori a quelli di mercato.
Durante il 2014 il real si è deprezzato sul dollaro di un ulteriore 13,4%. Mentre nel 2013 il deprezzamento del cambio era stato visto come un’opportunità per recuperare competitività, oggi le Autorità, preoccupate per l’inflazione, hanno iniziato ad intervenire a sostegno della valuta con constanti emissioni di contratti swap in valuta, che equivalgono a vendite di valuta a termine. Il deprezzamento nominale è stato bilanciato dall’elevata inflazione ed il cambio reale effettivo ha chiuso il 2014 a 84,7.
Il deficit corrente della bilancia dei pagamenti è aumentato a 80 miliardi di dollari, da 72,5 miliardi nello stesso periodo del 2013. La bilancia commerciale ha chiuso in rosso (4,2 miliardi) a causa del calo dei prezzi di alcuni minerali, come il ferro e i l nickel, e prodotti agricoli esportati (la soia). Sempre da gennaio a novembre 2014 il surplus del conto finanziario è salito a 96,7 miliardi da 69,1 miliardi dell’anno precedente. Questo miglioramento è stato principalmente determinato dalla crescita dei prestiti in valuta sia a breve che a lungo termine, che ammonta a circa 20 miliardi di dollari. A fine novembre 2014 il Brasile aveva riserve in valuta per un valore di 366,4 miliardi di dollari. Queste superano di gran lunga il fabbisogno di finanziamento estero, stimato nel 2015 da EIU (Economist Intelligence Unit) pari a 190 miliardi di dollari (reserve cover ratio a 1,9). Tuttavia, allo scadere dell’anno 2014 il Brasile aveva una posizione finanziaria netta (PFN) passiva di 793 miliardi di dollari. Un terzo del totale di tali passività finanziarie è imputabile agli investimenti di portafoglio e il 14% ai prestiti in valuta. La quota d’imputazione maggiore è detenuta dagli IDE (quasi il 50%). Il peggioramento della bilancia dei pagamenti e della posizione finanziaria netta passiva comportano la forte dipendenza dell’economia brasiliana dai capitali esteri, nonostante le riserve offrano un’adeguata copertura del fabbisogno finanziario esterno e delle importazioni.
Nell’ultimo anno e mezzo le agenzie di rating hanno espresso giudizi sempre meno positivi sul Brasile. Moody’s, pur confermando il rating Baa2, ha cambiato negativamente l’outlook del paese, mentre S&P ha tagliato direttamente il rating da BBB a BBB-, l’ultimo gradino prima di passare alla categoria “speculativa”. Entrambe hanno, comunque, sottolineato la bassa crescita dell’economia, la gestione della politica economica poco coerente e il mancato raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica. Il deterioramento del quadro macroeconomico nazionale e le valutazioni delle Agenzie di rating hanno avuto un ruolo solo temporaneo sull’innalzamento del CDS spread. Infatti, già all’inizio del 2015 il CDS spread ha fatto registrare un nuovo calo, scendendo al di sotto dei 150 pb (punti base). Negli ultimi anni, le scadenze politiche e le tensioni sociali hanno bloccato le riforme strutturali di cui il paese aveva bisogno.
Disciplina fiscale, maggiore decisione nel contrastare l’inflazione, riforme relative a mercato del lavoro e ridimensionamento del ruolo dello stato nell’economia, sono ritenute necessarie dalle agenzie per rilanciare crescita e credibilità del Paese. L’ economia, inoltre, necessita di ingenti investimenti nello sfruttamento delle risorse naturali, nelle infrastrutture e negli impianti. Gli indicatori suggeriscono un probabile nuovo calo del PIL nel 4° Trimestre 2014, mentre mancano ancora segnali di ripresa. Secondo la più recente indagine della Banca Centrale si verificherà un’espansione in termini reali dello 0,4% nel 2015, mentre la crescita è prevista in accelerazione fino all’1,8 % nel 2016.

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