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Beatles, un mito che unisce esperienza e arte

Beatles, un mito che unisce esperienza e arte

Nel 1967 la copertina di un “vinile” intitolato Sgt.Pepper’s Lonely Hearts Club Band (Complesso del Circolo dei Cuori Solitari del sergente Pepper), mostrava – con un fotomontaggio – una folla raccolta intorno ad una tomba, c’era: Edgar Allan Poe, Lawrence d’Arabia, Sonny Liston, Marilyn Monroe , Mae West e 8 Beatles. Come otto?

In realtà quattro erano fantocci di cera e rappresentavano i Beatles, esattamente come si presentavano in quel momento, con i capelli lunghi, facce da chierichetti e abiti neri. Gli altri quattro invece, sempre loro, con vestiti sgargianti da hippie e tutti baffuti.

I Beatles annunciarono così la loro prima metamorfosi e contestualmente iniziarono composizioni ancora più originali e stilisticamente interessanti. Basti pensare alla loro indimenticabile composizione She’s Leaving Home una delle 12 comprese nel disco del Sergente Pepper, così tanto bella da essere paragonata ad una romanza di Schubert. E come disse il musicologo Henry Pleasants nel 1968: “I Beatles sono dove oggi è la musica”.

Come tutti i talenti, i Beatles seppero distillare lo spirito del loro tempo. Se la ridondanza dell’epoca vittoriana era lo spirito satireggiante e festosamente allegro di Gilbert e Sullivan, le canzoni di Rodgers Hammerstein erano l’espressione del sentimentalismo e la serietà degli anni della seconda guerra mondiale. I Beatles con i loro collage riflettevano il senso di solitudine dei disordinati anni ’70. Se la loro musica prima maniera era esuberante, vedi I Want to Hold You Hand  (cinque milioni di copie vendute solo nel 1964), era un testo mieloso su due giovani, lui e lei. Loro stessi si erano resi conto che la musica appariva troppo convenzionale e decisero di pensare ad una prima svolta. John Lennon, il principale compostitore del complesso, venne preso dal fascino della libertà di espressione – dire le cose come stanno – di Bob Dylan. E a poco a poco anche i Beatles cominciarono a comporre brani e a “dire le cose come stanno“.

Nel 1965 Paul McCartney musicò la più bella delle sue canzoni, Yesterday, con l’accompagnamento di un ottetto di archi, un genere “Baroque-rock”. Un’altra forma di “raga-rock” nacque quando George Harrison si innamorò della musica indiana (che aveva studiato con un virtuoso di sitar, Ravi Shankar) ed interpretò alcune sonate.

Via via che la loro musica diventa sempre più complessa e audace, i Beatles persero in parte i loro primi fans, quelli più giovani. E subito dopo conquistarono non solo studenti universitari, ma anche genitori, professori e persino alti dirigenti.

Il reverendo B. Davie Napier, decano di cappella dell’università americana di Stanfort – disse in quei tempi – “Sergente Popper mette a nudo l’immensa solitudine e il terrore della nostra epoca solitaria”.

Nessun complesso, pur vitale e fantasioso, non riuscì mai ad eguagliare l’originalità e la forza dei Beatles. Ma il loro flirtare con le droghe e con lo spirito rinunciatario, che aleggia in canzoni come A Day in The Life, infastidì molti loro fans e i loro genitori. Ma nonostante tutti e quattro abbiano ammesso di prendere di tanto in tanto qualche droga, Paul Mc Cartney dichiarò: “Non la raccomando a nessuno. Può darsi che apra qualche porta, ma non è una risposta. La risposta bisogna trovarla da soli“.BeatlesQuando i Beatles parlavano, milioni di persone li ascoltavano, quali icone che simboleggiavano la giovanile sfiducia nel principio di autorità, il disprezzo per le convenzioni e l’insofferenza per l’ipocrisia.

Per i giovani di allora, rappresentavano l’espressione di un’audace onestà e ammiravano la loro libertà e la loro apertura mentale. Li vedevano come loro pari.

I Beatles hanno sempre condotto una vita lontana dal chiasso, al riparo da ogni rischio d’immagine e sempre protetti da guardie del corpo. Le loro uscite pubbliche ma private, sono sempre state progettate con una strategia militare, per avere sempre via di scampo in caso di un assalto di ammiratori.

Una volta sposati, si trasferirono con le loro mogli in zone diverse fuori Londra, ma l’amicizia che li legava che nasceva da vincoli particolari, li tenne sempre uniti.  Non li univa solo il fatto di essere i Beatles o il successo, ma soprattutto il fatto che provenivano tutti dalla medesima classe sociale della stessa città, la famosa, vittoriana Liverpool.

Paul, figlio di un piazzista di cotonate, e John, che fu allevato da una zia dopo che il padre abbandonò la famiglia, suonavano insieme già nel 1955. George, figlio di un conducente di bus, si unì a loro nel 1958 e due anni dopo arrivò anche Ringo, figlio di un portuale.

In quei tempi, però, suonare in un complesso di Liverpool non rendeva molto e nè tanto meno offriva soddisfazioni musicali, però fu l’occasione per conoscere Brian Epstein, manager, che lì guidò professionalmente fino al 1967.

I loro caratteri erano molto diversi, Paul era un estroverso e loquace, capace di diffondere attorno a sè un grande fascino, ma era anche quello che appianava le difficoltà e che cercava sempre di spiegare ogni cosa, bella o brutta che fosse. George, era il meno appariscente del gruppo, amante della filosofia ma anche il più completo strumentalista del gruppo, sempre prima chitarra. Ringo invece appariva modesto e senza pretese, dotato di comicità, colui che sapeva fare da catalizzatore sugli altri. Il più misterioso era invece John, la vera fonte creatrice, riflessivo e con un carattere difficile, a volte chiuso e solitario.

Da lì il loro brillante futuro che possiamo racchiudere nelle parole di George “In realtà non abbiamo mai cominciato. Finora abbiamo appena scoperto che cosa possiamo fare nel campo della musica, quali soglie possiamo varcare. Il futuro si stende al di là della nostra immaginazione”.  Tutto il resto che sono riusciti a fare possiamo definirlo il frutto di una loro capacità di modificarsi con maturità e unire esperienza e arte.

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