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Bcc, gelo Bankitalia e allarme Federcasse sulla controriforma

Di fronte al dissenso silenzioso della Banca d’Italia e all’allarme di una parte del credito cooperativo, il Governo ondeggia sulla controriforma delle Bcc e non esclude una marcia indietro – Il pericolo di spingere al commissariamento oltre una ventina di Bcc preoccupa anche Conte – Tria blocca la bislacca idea anti-spread del grillino Fraccaro

Bcc, gelo Bankitalia e allarme Federcasse sulla controriforma

La controriforma delle Bcc, caldeggiata dalla Lega e sostenuta anche dai Cinque Stelle attraverso gli emendamenti al decreto fiscale per rendere solo facoltativa l’adesione alle holding nazionali del credito cooperativo in nome di un malinteso sovranismo bancario, può diventare l’ennesimo boomerang per il Governo Conte. Soprattutto se, oltre al superamento dell’obbligo di adesione delle Bcc alle tre holding capogruppo, dovesse prendere corpo l’idea bislacca, fortunatamente stoppata dal ministro Tria, del ministro grillino Fraccaro, che ipotizza di sterilizzare l’effetto spread sulle Bcc, cambiando i principi contabili e accrescendo il contenzioso con l’Europa.

Il gelo della Banca d’Italia, che ha fatto filtrare il proprio netto dissenso verso la controriforma, per il rischio che essa comporta di mettere in pericolo più di una ventina di Bcc senza il salvagente dei gruppi nazionali, e l’allarme lanciato da Federcasse e Confcooperative sembrano inducano il Governo a ripensarci.

Federcasse e Confcooperative, pur con un linguaggio diplomatico, hanno mandato a dire al Governo di non interrompere l’attuazione della riforma e la costituzione delle tre holding (Iccrea, Cassa Centrale Banca e Raiffeisen) a cui dovranno aderire le 280 Bcc, perché c’è il rischio di un generale deragliamento del credito cooperativo e del commissariamento delle più deboli se non adeguatamente sorrette da un’aggregazione che faccia da scudo.

Allo stesso modo la pensa la trentina Cassa Centrale Banca. Ma è il “non possumus” della Banca d’Italia quello che pesa di più. Non è un mistero che la riforma Renzi delle Bcc, così come quella delle banche popolari, nacque proprio dalla sollecitazione dell’istituto di Via Nazionale a mettere in sicurezza le banche del credito cooperativo, alcune virtuose ma molte sull’orlo del commissariamento o perché sottocapitalizzate o perché gonfie di crediti deteriorati. L’aggregazione nelle tre holding nazionali – originariamente doveva essercene una sola sul modello della francese Credit Agricole – doveva e deve servire proprio a salvare l’intero settore e il fatto che la vigilanza sulle capogruppo sia di pertinenza della Bce e sulle singole Bcc della Banca d’Italia ha il senso di controllare strettamente lo stato di salute del credito cooperativo, anche se questo ha suscitato infiniti mal di pancia da parte delle Bcc più piccole, che temono di non superare gli esami dei vigilanti.

È proprio sul malessere delle piccole banche, soprattutto al Nord, che ha fatto leva la Lega per lanciare la sua controffensiva. Ma ora lo stesso premier Conte, dopo gli avvertimenti della Banca d’Italia e di larga parte delle holding, sembra preoccuparsene e in un vertice che si è tenuto ieri a sera a Palazzo Chigi è stata ventilata l’ipotesi di un ripensamento e di una sostanziale retromarcia sulla controriforma.

Ecco perché molte Bcc, prima di decidere il da farsi e cioè se aderire nei prossimi giorni alle capogruppo o restare da sole, preferiscono capire quale sarà lo sbocco finale di tutta questa partita e verificare in concreto quale sarà il testo degli emendamenti al decreto fiscale che verrà realmente approvato dal Parlamento e se l’adesione alle holding nazionali diventerà davvero facoltativa o resterà obbligatoria come è adesso.

Insomma, un bel rebus, di cui la stabilità del mondo del credito cooperativo non aveva proprio bisogno.

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