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Assopopolari: controffensiva in due atti per ritardare ed annacquare la riforma Renzi

Assopopolari invoca il dialogo ma non rinuncia a contrastare la riforma delle banche popolari proposta dal governo Renzi – L’associazione solleva anzitutto dubbi sulla costituzionalità del decreto e propone di trasformare il provvedimento in disegno di legge allungando i tempi della trasformazione in spa – Poi chiede di pesare le azioni anzichè contarle.

Modera i toni e parla di dialogo ma in realtà l’Assopopolari, la potente associazione delle banche popolari, affila le armi contro il decreto di riforma del governo Renzi che prevede la trasformazione in spa in 18 mesi e l’abolizione del voto capitario delle 10 maggiori banche popolari, sette delle quali quotate in Borsa e tutte con un attivo di oltre 8 miliardi di euro.

E’ questo il risultato del consiglio direttivo di Assopopolari che ieri ha discusso a Milano le controproposte al decreto del Governo sulla base dei progetti elaborati da una commissione tecnica formata da Angelo Tantazzi, Piergaetano Marchetti e Alberto Quadrio Curzio.

In primo luogo l’Assopopolari solleva “dubbi di legittimità costutuzionale della forzosa conversione in spa prevista dal decreto”. Il primo terreno di battaglia parlamentare sulla riforma Renzi sarà dunque sulla costituzionalità del decreto. Un rilievo che i sostenitori di Assopopolari hanno già sollevato alla Camera dove le commissioni Attività produttive e Finanze hanno programmato per settimana prossima le prime audizioni (Assopopolari, Abi e Banca d’Italia) prima di entrare nel merito del provvedimento.

La prima conta avverrà dunque sulla costituzionalità del decreto. L’obiettivo preliminare di Assopopolari è chiaro: bocciare l’uso del decreto e trasformare il provvedimento in disegno di legge in modo da allungare i tempi della riforma. Le obiezioni contro la “necessità e urgenza” del decreto non sono nuove e riecheggiano quelle che nel ’92 i nemici delle privatizzazioni sollevarono senza successo contro il decreto del primo governo Amato, che in una notte trasformò Iri, Eni, Enel ed Ina da enti di gestione in spa. A queste obiezioni ha già risposto, in un’intervista a FIRSTonline il leader del Centro democratico, Bruno Tabacci, ricordando che l’attesa di oltre vent’anni della riforma ne giustifica pienamente la necessità e l’urgenza.

Quanto al merito della questione, l’obiettivo di Assopopolari è quello di far rientrare dalla finestra il voto capitario uscito dalla porta con la riforma. Pur accettando “una più significativa apertura al capitale nella formazione degli organi di governo della banca popolare cooperativa”, l’Assopopolari ipotizza, nel caso di trasformazione obbligatoria in spa, “una ponderazione del voto di capitale, con particolare favore per i soci con possesso azionario limitato/durevole”. In sostanza, secondo Assopopolari, i voti e le azioni si devono pesare e non contare.

La mossa è astuta perchè apparentemente mira a privilegiare i piccoli azionisti e i soci di lunga durata, ma in realtà difende le rendite di posizione dei “signorotti locali” che dominano le grandi Popolari e che Renzi ha duramente apostrofato. In questo modo, l’anomalia della governance tra le Popolari e le altre società quotate in Borsa resterebbe tutta in piedi e la democrazia economica continuerebbe a restare un sogno.

Assopopolari dimentica sempre che la riforma Renzi non riguarda affatto tutte le banche popolari ma solo le 10 più grandi tra cui le 7 quotate in Borsa che è assai arduo considerare ancora cooperative e più legate di altre al territorio locale essendo, nella maggior parte dei casi, grandi colossi bancari che liberamente hanno scelto di rivolgersi non ai soci ma al mercato dei capitali quotandosi a Piazza Affari.

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