Condividi

Bruno Tabacci: “Ridicole e strumentali le polemiche contro la riforma delle banche popolari”

INTERVISTA A BRUNO TABACCI, leader del Centro democratico: “Renzi ha fatto benissimo a lanciare per decreto la riforma delle grandi Popolari. Le obiezioni sono insostenibili: dietro l’arroccamento sul voto capitario si nasconde la difesa di rendite di posizione e l’ingerenza nella gestione del credito, tradendo i valori originari. Perfino lo Ior cambia”

Bruno Tabacci: “Ridicole e strumentali le polemiche contro la riforma delle banche popolari”

“Sono polemiche semplicemente  ridicole quelle che in questi giorni si levano strumentalmente contro la riforma delle banche popolari del governo Renzi. In realtà, dietro lo scudo del voto capitario si nasconde il tentativo di difendere rendite di posizione e di intervenire arbitrariamente nella gestione del credito”. Il leader del Centro democratico, Bruno Tabacci, che da presidente della commissione Attività produttive della Camera, condusse una vigorosa battaglia parlamentare che portò alla legge sul risparmio, non ha dubbi nel sostenere a spada tratta il blitz di Matteo Renzi sulle grandi Popolari e, nelle consultazioni di martedì per la scelta del nuovo Capo dello Stato, ha fatto apertamente i complimenti al premier. Ora risponde alle domande di FIRSTonline.

Onorevole Tabacci, è da circa trent’anni che si prova a riformare le banche popolari ma finora non ce l’ha mai fatta nessuno e, a giudicare dalla levata di scudi di Assopopolari, anche stavolta la battaglia si preannuncia molto difficile: qual è il suo giudizio sui contenuti della riforma e come andrà a finire in Parlamento?

“Matteo Renzi, che sta guidando il Governo con una forte pulsione riformatrice, ha giustamente evidenziato un problema, come quello dell’assetto societario e della governance delle  banche popolari, che andava schiodato da tempo e che credo anticipi la nuova legge sulla concorrenza e sui conflitti di interesse rimuovendo i nodi che hanno finora bloccato l’economia italiana e il suo sviluppo. Il premier ha fatto benissimo a mettere in campo il decreto sulla riforma delle grandi Popolari”.

Ma Lei sa che, oltre al merito, c’è chi contesta il ricorso al decreto non ravvisando motivi di “necessità ed urgenza” per la riforma.

“Sono polemiche ridicole perché, se penso che già negli anni Ottanta l’allora presidente dell’Assopopolari, Parrillo, e poi Mario Draghi, sia nella prima bozza del Tuf del ’98 che in seguito da governatore della Banca d’Italia avevano sollevato con chiarezza il problema della trasformazione delle banche popolari, non v’è chi non veda ‘la necessità e l’urgenz’ della riforma. Oltre tutto, il decreto è un testo molto equilibrato che ha la saggezza di distinguere tra grandi e piccole banche popolari senza sparare nel mucchio”.

Perché, secondo Lei, è urgente abolire il voto capitario per le grandi banche Popolari?

“Perché dietro lo scudo del voto capitario si nascondono rendite di posizione e la volontà di difendere la gestione arbitraria del credito di inamovibili oligarchie di potere che conquistano il loro ruolo manovrando nelle assemblee le loro truppe cammellate.  Per di più, le sette banche popolari quotate in Borsa hanno creato un meccanismo artificioso basato sull’offerta di azioni al risparmio con carte nascoste e la copertura di una governance opaca che occulta il vero valore della banca. Il fatto che non appena è stato annunciato il decreto di riforma i titoli delle Popolari abbiano spiccato il volo in Borsa la dice lunga su quale sia il reale sentiment del mercato”.

Però è soprattutto dal mondo cattolico, tradizionalmente vicino alle Popolari e del quale Lei stesso è espressione, che arrivano siluri alla riforma, come si evince dalle colonne del quotidiano dei vescovi, l’”Avvenire” : Lei come lo spiega?

“Ma è mai possibile che non ci si renda conto che perfino lo Ior è cambiato? In realtà l’arroccamento a difesa del voto capitario e dello status quo nella grandi banche Popolari è solo una scelta di potere che non ha nulla a che fare con i valori religiosi e ideali e con l’originaria esperienza cattolica nelle banche popolari. E’ una cosa che mi amareggia ma che non potrà fermare il cammino della riforma”.

Si aspettava una reazione così dura come quella dell’Assopopolari?

“Quella dell’Associazione mi sembra una posizione del tutto pretestuosa. Le grandi banche popolari hanno avuto tutto il tempo necessario per presentare un loro progetto di autoriforma e non l’hanno fatto: ora raccolgono quel che hanno seminato. Su un punto però non ci possono essere dubbi: nella democrazia economica le azioni si contano e non si pesano e dunque si può distinguere, come è giusto fare, il caso delle piccole Popolari e delle Bce ma nel caso delle quotate l’abolizione del voto capitario va fatta senza se e senza ma”.

Onorevole, chi si oppone al decreto sostiene che la trasformazione delle banche popolari allenterebbe il legame con il territorio e potrebbe favorire la colonizzazione di una parte importante del nostri sistema bancario: sono rischi reali?

“Mi sembrano obiezioni strumentali e insostenibili. Che cosa c’è di meglio che la trasparenza nella gestione del credito per servire il territorio? Quanto all’italianità delle banche popolari mi sembra una bandiera antistorica: pensi al caso di scuola del Nuovo Pignone, una società storica dell’Eni che non riusciva più a stare in piedi e che ha trovato in General Electric la spinta per una nuova stagione di sviluppo. Non ci si può lamentare della carenza di capitali e investimenti stranieri in Italia e poi erigere sbarramenti fuori dalla storia”.

Commenta