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Adelante con juicio: la domanda è frenata dai timori per salute e lavoro

La ripartenza dell’economia è iniziata, ma è condizionata. Risalgono assieme manifatturiero e terziario. Nell’industria maglia rosa all’Italia. Stentano le economie più dipendenti dall’export e specializzate in beni di investimento e di consumo durevoli. Come atteso, sale il risparmio precauzionale.

Adelante con juicio: la domanda è frenata dai timori per salute e lavoro

«La ripresa appena cominciata è già finita…» potrebbe intonare Sergio Endrigo, adattando il suo successo planetario (Canzone per te fu tradotta in molte lingue) agli scenari economici attuali. E la sua voce melanconica ben interpreterebbe la fase socio-economica che stiamo vivendo. Una fase sospesa tra la voglia di ricominciare a condurre un’esistenza normale, nel negozio come nell’ozio, e la paura di nuove interruzioni causate dall’insorgere di altri focolai infettivi.

Focolai che in effetti si stanno ripresentando, vicini e lontani, in città italiane (sebbene nel Paese la dinamica dei nuovi casi sia nettamente più bassa che altrove) e fin agli antipodi, ossia nell’emisfero dove da poco è iniziato l’inverno. È un avviso di quel che accadrà da noi in autunno, con il riabbassarsi delle temperature? Basta ciò a spaventare consumatori e imprenditori, a modificarne i comportamenti, a farne rimettere nel cassetto i piani di spesa? E a far perciò dubitare della solidità e della longevità della ripresa che è or ora partita, grazie all’allentamento delle misure restrittive della vita sociale? O l’allarme, come avrebbe detto Mark Twain, è grossolanamente esagerato?

I numeri di maggio di produzione industriale confermano un’Italia in maglia rosa, con un incremento che doppia quello atteso (+42% su aprile, contro +24%), (in)seguita a ruota dalla Francia e, staccate, da Germania e Spagna. Anche il confronto su base annua vede il Belpaese andare meno indietro degli altri.

I dati congiunturali di giugno, per lo più qualitativi, mostrano che l’aumento dell’attività industriale si sta diffondendo. La componente output del PMI manifatturiero segnala che non è più solo la Cina a registrare (e lo fa per il quarto mese consecutivo) espansione, ma anche Francia e Turchia (a ritmi sostenuti), Brasile e Russia, Italia e UK.

A livello globale c’è stata, il mese scorso, un’ulteriore contrazione della produzione: l’indicatore si è fermato a 47,0 (sotto 50=riduzione). Solo pochi mesi fa sarebbe stato considerato un pessimo dato. Oggi rincuora nel confronto con il 32,7 di aprile e il 39,2 di maggio.

Il miglioramento è stato frenato sia da chi, sul piano sanitario, te lo saresti aspettato sia da chi era al di sopra di ogni sospetto. Te lo saresti aspettato dagli USA, che non sono ancora riusciti a mettere sotto controllo l’epidemia, che pure è comparsa dopo e si sta dimostrando ben più devastante che in qualunque altra economia avanzata, per la mala gestione. Lì l’indicatore PMI output è stato 47,5. Non te lo saresti aspettato da Germania, Corea del Sud e Giappone, che hanno ben affrontato il virus, ma le cui industrie stanno soffrendo molto di più, con indicatori PMI output rispettivamente a 46, 40 e 32.

La spiegazione di queste dinamiche negative, non correlate con l’andamento interno dell’epidemia, va cercata nell’elevato peso dell’export sul PIL e nella specializzazione produttiva in settori la cui domanda è stata la prima a cadere e sarà tra le ultime a salire: beni di consumo durevoli, come le autovetture, e beni di investimento (macchinari, mezzi di trasporto pesanti). Ma ciò getta una luce fosca anche sulle prospettive degli altri paesi.

Analoga dinamica si osserva nel terziario. Che ha di molto diminuito, a livello globale e in tutte le singole economie, il tasso di contrazione. L’indice di attività PMI è arrivato a 48 a livello globale (dal 23,7 toccato in aprile), superando la soglia di 50 in Spagna (50,2 da 7,1 in aprile), Francia (50,7 da 10,2), Cina (51,2 da 26,5 in gennaio, ma 55,0 in maggio) e Australia (53,1, da 26,5 il mese precedente).

Questi dati sono, però, antecedenti al peggioramento della pandemia che si è osservato sul finire di giugno e nella prima metà di luglio, tanto che Melbourne (la seconda città australiana) è tornata in stretto lockdown e che in USA molti stati registrano record di casi e di morti. Per cui sorge, legittimo, il dubbio che questo peggioramento sanitario sia seguito da un deterioramento anche dell’economia, sia per le misure adottate dalle autorità sia per la maggiore prudenza nei comportamenti delle persone.

Tuttavia, l’analisi in filigrana dei dati fa emergere non piccole differenze rispetto all’avvio della pandemia. Anzitutto, l’aumento dei casi si associa a una più ampia e intensa campagna di tamponi, mentre in percentuale dei tamponi i nuovi casi sono molti meno che in principio (sebbene in USA tale percentuale sia in aumento e raddoppiata rispetto a poche settimane fa). In secondo luogo, la percentuale di nuovi morti rispetto ai nuovi casi è molto diminuita (inferiore all’1% in USA, dove era stata anche prossima al 100%). Queste due informazioni convergono nella conclusione che ora il virus viene cercato con attenzione e i malati presi e curati ai primi stadi dell’infezione.

Tuttavia, questa visione rassicurante è difficile da veicolare alla popolazione senza farne abbassare la guardia. D’altra parte, nella comunicazione fa premio il risveglio o addirittura il record del numero assoluto di casi (negli USA). Quello dei decessi, invece, è di gran lunga lontano dai picchi di tre mesi fa (in USA è il 5% di allora, mentre i casi sono quasi il doppio).

Insomma, il rischio è che ora, più che allora, prevalga la paura. Sana se vuol dire comportamenti responsabili; fobica se porta a rinchiudersi di nuovo in casa e a rinunciare a spendere. I sondaggi (e lo testimonia quello IPSOS in Italia) confermano il riemergere della preoccupazione per la salute propria e dei propri cari.

Un altro rischio viene dal fatto che è finita la fase della «linea del Piave» per salvare i posti di lavoro, costi quel che costi. Molte imprese hanno annunciato inevitabili tagli occupazionali, a fronte dell’assenza di domanda e di eccesso di capacità produttiva. Altre seguiranno il loro esempio. E i governi? Sicuramente verranno prolungati molti programmi per incoraggiare le imprese a non ridurre la manodopera.

Il timore di perdere l’impiego e il salario ha dominato, fin dall’avvio della crisi, la reazione dei consumatori. Anche perciò, oltre che per le minori occasioni di spesa, sta aumentando il tasso di risparmio, mentre il reddito è tenuto alto dai trasferimenti governativi.

La domanda delle famiglie, dunque, rimarrà schiacciata tra i timori per la salute e quelli per il lavoro. Le imprese non potranno che adeguare i piani di investimenti alle attese di una domanda più bassa.

D’altra parte, Le lancette dell’economia avevano fin dall’inizio avvertito che dopo il tonfo non ci sarà un rapido rimbalzo. E che la ripresa sarebbe stata lunga e lenta e forma di «J» vista allo specchio. Ora la stiamo sperimentando.

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