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Viesti: “L’autonomia differenziata delle Regioni sconvolgerà l’Italia. Non si deve fare alla chetichella”

INTERVISTA all’economista GIANFRANCO VIESTI dell’Università di Bari che spiega tutti i pericoli della bozza Calderoli: “No alle forzature politiche e ideologiche, bisogna prima discutere nel merito delle questioni”

Viesti: “L’autonomia differenziata delle Regioni sconvolgerà l’Italia. Non si deve fare alla chetichella”

“La proposta Calderoli sull’autonomia differenziata delle Regioni non è un piccolo e marginale aggiustamento delle autonomie locali. Si tratta di un profondo sconvolgimento che apre le porte ad un paese gestito in maniera completamente diversa. Per questo è strano che nessun partito, salvo rare eccezioni, si sia pronunciato con chiarezza su questa materia. È strano che non si sia aperta una discussione pragmatica su dove si vuole arrivare e soprattutto su quale assetto è più efficiente e maggiormente in grado di servire gli interessi dei cittadini. Una rivoluzione del genere non può essere guidata dal furore ideologico di qualche gruppo politico e dagli interessi delle classi politiche dirigenti locali invece che guardare al benessere a lungo termine dell’intera cittadinanza“. 

Il professor Gianfranco Viesti, economista dell’Università di Bari, è da tempo in prima fila nella battaglia contro il regionalismo differenziato ed ora contro la bozza Calderoli. Le ragioni sono molte e non riguardano solo, e nemmeno in via principale, il conflitto tra Nord che vuole l’autonomia per gestire i soldi delle proprie tasse, e il Sud che teme di subire una riduzione dei trasferimenti dal centro, e quindi dei livelli di servizi per i propri cittadini. 

 “Ridurre tutto ad un conflitto Nord-Sud è un modo distorto e pericoloso di affrontare la questione. C’è un problema di risorse finanziarie, ma ora gli stessi Governatori del Nord dicono di non volere più soldi di quelli che spende attualmente lo Stato per i servizi che dovrebbero passare alle Regioni. E poi gli stessi esponenti del Sud sono ambigui perché da un lato hanno paura di avere meno fondi, ma dall’altro sono attratti dalla possibilità di chiedere nuovi poteri, di ampliare il proprio dominio. Il problema riguarda l’Italia intera e il modo di come sarà gestita la cosa pubblica per un lungo periodo di anni”. 

Partiamo da una domanda preliminare. Chiediamoci cioè se l’attuale regionalismo ha funzionato oppure se sono emerse disfunzioni notevoli. 

 “L’attuale attribuzione di responsabilità non funziona bene come si vede dall’enorme mole di conflitti di competenza giacenti presso la Corte Costituzionale e soprattutto da quanto è emerso con la pandemia di COVID. In questo caso la pandemia ci ha fatto aprire gli occhi. Infatti è emersa una eccessiva differenza delle scelte fatte dalle varie regioni in contrasto con quello che dovrebbe essere un sistema sanitario nazionale. E soprattutto queste scelte non hanno portato a sistemi più efficienti, anzi.  Allora in primo luogo occorrerebbe decidere quali competenze andrebbero riportate al centro e con che metodo stabilire quali sono le deleghe che possono essere attribuite alle regioni in base alle loro effettive specificità territoriali“.

Cioè prima bisognerebbe capire cosa è più efficiente che sia fatto dal centro e cosa invece è meglio se fosse  gestito a livello locale. 

 “Certo. Bisogna andare nel merito delle questioni prima di prendere posizioni ideologiche. Non si tratta di essere centralisti o regionalisti. Bisogna capire cosa funziona meglio al centro e cosa invece può essere demandato alla periferia. Il modello tedesco, a quanto sembra, funziona bene con un bilanciamento positivo tra centro e periferia. Da noi occorrerebbe riportare al centro competenze ad esempio in materia energetica o delle infrastrutture, mentre le regioni dovrebbero dimostrare che le competenze che richiedono si basano su effettive specificità locali. Ad esempio se la regione Veneto rivendicasse la competenza ad occuparsi dei problemi della laguna, potrebbe dimostrare di essere più efficiente del potere centrale, distante e lento“. 

Bisognerebbe quindi partire da un approccio totalmente diverso. Prima di affrontare modifiche delle attribuzioni dei poteri,  bisognerebbe fare una discussione concreta sui singoli problemi. La politica dovrebbe assumersi maggiori responsabilità e prendere posizione con chiarezza. 

“Infatti se le Regioni attuali non funzionano bene la colpa è anche del centro. Governi e Parlamenti avrebbero dovuto fare leggi quadro, fissando precisi parametri, lasciando poi al livello locale la responsabilità di calibrarne l’attuazione. Così non è avvenuto, tranne recentemente con il Pnrr che ha fissato una cornice attivando poi le autonomie locali nell’esecuzione. E in questo caso le Regioni sono state sacrificate rispetto ai Comuni che hanno avuto più fondi e più poteri. Insomma la questione prima che istituzionale è politica. Nel senso che non si può affrontare la questione solo contrapponendo al regionalismo il presidenzialismo. Prima sarebbe necessario che i partiti trovassero il modo di spiegare agli elettori quale Italia vogliono costruire e come è più conveniente distribuire i poteri di gestione tra i vari livelli istituzionali“.

Ma invece il dibattito rischia di essere strozzato dalla proposta di lasciare al Parlamento solo la ratifica di quando deciso nella trattativa tra Regioni e Governo. È uno schema assurdo perché si rischierebbe di varare modifiche rilevanti e irreversibili senza una vera discussione in Parlamento e nel paese. 

 “Credo che le richieste di attribuirsi poteri sterminati fatte dalle regioni del Nord  siano nate un po’ come provocazione. Nessuno si aspettava che venissero prese sul serio. E invece il governo Gentiloni, temendo chissà quale ondata leghista, fece una prima bozza di accordo e da allora il PD ha perso la voce in materia. Anche oggi tra i candidati alla segreteria del partito non si parla di regionalismo, forse per non mettere in imbarazzo Bonaccini che come presidente della sua regione ha presentato richieste analoghe a quelle del Veneto. I partiti devono dire se è effettivamente sensato attribuire alla regioni poteri di veto su materie come energia, trasporti, musei, ambiente, scuola e via dicendo. Ripeto, prima bisogna discutere del merito delle questioni e poi trovare le soluzioni giuridiche e istituzionali  più adatte ad affrontare i problemi. “ 

Ora poi c’è anche la proposta di ripristinare l’elezione diretta delle assemblee provinciali e dei relativi presidenti. 

 “Il problema non sta tanto nel costo ( 2-300 milioni) dei consiglieri provinciali, ma nel fatto che la riforma Delrio è finita male. Il problema è che le Regioni sono bulimiche, hanno schiacciato in alto il governo centrale e in basso le città che invece svolgono funzioni rilevanti e sono apprezzate dalla pubblica opinione. Quindi se esistono esigenze di ristabilire un ruolo delle Province, specie in regioni molto grandi all’interno delle quali ci sono esigenze diverse e pesi differenti tra i vari territori, si dica cosa si può fare senza sovrapposizioni. Ad esempio tra le città di Milano e Pavia esistono esigenze molto diverse. Pavia avrebbe bisogno di un territorio più ampio per poter far sentire la propria voce“. 

In conclusione si può dire che la situazione attuale non è ideale in quanto le attuali autonomie locali non hanno dimostrato di essere realmente più efficienti del centro, ma che le idee che circolano per mettere riparo a questa situazione sono completamente fuori linea. Manca la politica, mancano i partiti, manca un dibattito nel paese. 

“Bisognerebbe fare una pausa e ricominciare daccapo. Bando alle ideologie ed alle forzature politiche (l’accelerazione da parte di Calderoli forse dipende dalle imminenti elezioni regionali in Lombardia) ed esaminare con pragmatismo la situazione per  valutare le soluzioni più efficienti. Paradossalmente anche gli uomini di sinistra che hanno a cuore il bene del paese in questo frangente dovrebbero fare il tifo per Meloni che è a capo di un partito tradizionalmente centralista e che nel 2014 depositò alla Camera una proposta di legge per abolire le Regioni. Viviamo in un paese dove certo non ci si annoia. Ma i cittadini possono fare molto. Noi su proposta di Massimo Villone abbiamo firmato una proposta di legge di riforma costituzionale per modificare l’articolo 116 della Costituzione in modo da chiarire l’attribuzione delle competenze tra centro e periferia e ripristinare il diritto di referendum degli italiani sulle modifiche apportate. Se passasse la discussione sul regionalismo differenziato dovrebbe essere impostata su nuove basi”.

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