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Via della Seta: l’Italia firma 29 accordi con la Cina

Nel corso della visita a Roma del presidente cinese sono stati firmati 10 accordi commerciali e 19 istituzionali tra Italia e Cina per potenziali 20 miliardi, che sostanziano l’adesione alla Via della Seta – Le intese riguardano Cdp, Eni, Snam, Intesa, Ansaldo, Danieli, i porti di Trieste e Genova.

Via della Seta: l’Italia firma 29 accordi con la Cina

E’ un accordo al momento ridotto, ma l’accordo c’è. L’Italia, primo Paese del G7 a farlo, firma il suo accordo con la Cina ed entra nel grande progetto del gigante asiatico, la cosiddetta Via della Seta, che nei piani di Pechino farà della Cina la grande protagonista dell’economia globale nei prossimi decenni. L’intesa per ora è su 29 punti in tutto, la maggior parte istituzionali, solo dieci tra aziende, per un totale di 7 miliardi di euro: un investimento tutto sommato contenuto rispetto alle ambizioni cinesi e non rivoluzionario nemmeno da parte italiana, dopo che il Mise qualche settimana fa aveva ipotizzato un minimo di 50 accordi.

In prima fila c’è la Cassa Depositi e Prestiti, che emetterà circa 600 milioni di euro di Panda bond, in valuta cinese, per finanziare le imprese. L’accordo – che fa seguito al protocollo d’intesa sottoscritto dalle parti il 28 agosto scorso – è stato siglato dall’Amministratore delegato di Cdp Fabrizio Palermo e dal Chairman di Bank of China Chen Siqing. I proventi derivanti dai Panda bond verranno utilizzati per finanziare – direttamente o indirettamente – succursali o controllate di aziende italiane con sede in Cina e quindi supportarne la crescita. La liquidità raccolta sarà veicolata alle imprese sia attraverso le banche italiane presenti in Cina, sia attraverso le banche cinesi. Con tale piano di emissioni, Cdp diventa il primo emittente italiano, nonché il primo Istituto nazionale di promozione europeo, ad esplorare questo tipo di mercato. Non solo: Cassa depositi e prestiti e Bank of China hanno anche stabilito di voler collaborare alla definizione di un programma di supporto finanziario volto alle imprese italiane in Cina, per 5 miliardi di renminbi (circa mezzo miliardo di euro).

Poi ci sono i porti: la Cina alzerà bandiera sia a Genova sia a Trieste. Ci sono solo due contratti veri, per Danieli e Ansaldo, siderurgia e turbine. Una delle aziende più attive è sicuramente Eni: già oggi il cane a sei zampe opera nel Paese asiatico e con la compagnia petrolifera Cnpc collabora dal 2013 a Kashagan, e in Mozambico, dove investe nel settore del gas. La prospettiva è quella di puntare sull’industria dell’oil e gas cinese. C’è qualche prodotto alimentare tricolore, come le arance ma anche il maiale surgelato e il seme bovino, che vedono aprirsi le porte del mercato cinese. Pechino avrebbe voluto anche una partita di serie A, ma le regole Fifa lo vietano: avranno qualche incontro delle nazionali e delle coppe nazionali, più il Var, che sarà introdotto anche per gli arbitri cinesi.

Alcune aziende invece si sono chiamate fuori da sé. Leonardo per esempio, per non rischiare mal di pancia americani, ha pensato bene di non sbandierare le sue forniture per l’aereo civile cinese. Huawei, pomo della discordia globale, ha congelato il suo accordo di ricerca con un Politecnico italiano, nonostante la cooperazione nelle “telecomunicazioni” rimanga nel testo del memorandum sulla Via della seta. Da altre parti invece non si è proprio trovato l’accordo: Unicredit doveva entrare nel private equity cinese alleandosi con una banca locale, nulla da fare. Così come per il veicolo di investimento congiunto che Cassa depositi doveva creare con il potentissimo fondo sovrano Cic, pare manchi l’accordo sui settori. Prosegue invece la strategia cinese, già annunciata da tempo, di Intesa Sanpaolo, in particolare sulle attività di wealth management: la banca e la Municipalità di Qingdao hanno annunciato la firma di un Memorandum of Understanding.

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Fincantieri pure ha declinato, di commesse in Cina ne ha già a sufficienza. Ma, come detto, sui porti Xi Jinping porta comunque a casa un bel bottino: Cccc, il suo colosso delle costruzioni, entra sia nel retromolo di Trieste, nei nodi ferroviari che smistano i container verso l’Europa, sia tra le banchine di Genova. Soprattutto qui potrebbe essere la testa di ponte per altri investimenti. Sembrano sparite però le intese ipotizzate su altre infrastrutture, dalle ferrovie alle reti elettriche. Resta quella tra Snam rete gas, e il fondo Silk Road, che riguarda Cina e Paesi terzi. Il made in Italy porta a casa qualcosina, ma non tantissimo: sarà stato per le pressioni di Usa e Bruxelles?

Intanto, dopo l’incontro molto importante di venerdì con il presidente Sergio Mattarella, che è stato il regista di questa operazione, nella giornata di sabato il presidente cinese Xi Jinping è stato ricevuto anche dal premier Giuseppe Conte a Palazzo Madama, per la firma effettiva degli accordi. “Italia e Cina devono impostare relazioni più efficaci e costruire meglio rapporti che sono già molto buoni”, ha detto il premier nel corso del bilaterale con Xi a Villa Madama. A firmare le intese principali, per la parte italiana, è stato il ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio. Dall’altra parte del tavolo, il presidente della National Development and Reform Commission, He Lifeng. Il cuore dell’accordo è la Via della Seta di Pechino (l’Italia è il primo Paese del G7 ad aderire). Fredda la Lega, polemico Salvini: “Non mi si dica che in Cina c’è il libero mercato…”.

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