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Tunnel Brennero, in gioco c’è il 5,8% del Pil

Un report di Unioncamere fa il punto su un’opera strategica, al centro del PNRR e del Green New Deal. I lavori in Italia sono in fase avanzata, ma l’Austria frena. A regime sarà più che raddoppiato il trasporto merci ferroviario. Il ministro Giovannini: “Pronto non prima del 2031”

Tunnel Brennero, in gioco c’è il 5,8% del Pil

L’export commerciale verso Austria, Germania e Paesi scandinavi vale il 5,8% del Pil italiano, e quasi il 10% di quello del Nord-Est. Proprio per questo, la realizzazione del tunnel di base del Brennero è ormai una priorità assoluta: “Il collegamento ferroviario del Brennero è un obiettivo strategico di medio periodo – ha ribadito il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Enrico Giovannini, intervenendo ad un webinar organizzato da Unioncamere -. Il tema della transizione da gomma a rotaia è cruciale in tutto il PNRR”, ha detto il ministro, e i dati presentati dall’associazione camerale non possono che dargli ragione. A differenza di quanto avvenuto per il tunnel del Gottardo, infrastruttura portante del corridoio europeo che collega Genova a Rotterdam e che è stato da qualche anno completato, stavolta è l’Italia ad essere più avanti nei lavori e a chiedere un’accelerata. Nel caso dell’altro canale alpino furono decisivi gli investimenti della federazione svizzera, che addirittura sbloccò anche la parte di cantiere in territorio italiano, anticipando le spese.

Nel caso del Brennero invece le resistenze sono tutte da addebitare ai nostri vicini austriaci: già sulle attuali infrastrutture (l’Austostrada A22, inaugurata nel 1968, e la vecchia linea ferroviaria che addirittura risale al 1867) il Tirolo ha imposto vincoli ai mezzi non ecologici fin troppo stringenti, in vigore dal 2019 e che sono già costati un calo dello scambio dei flussi commerciali, oltre che il divieto di transito notturno e la limitazione alla circolazione di diverse categorie merceologiche, anche importanti (plastica, rifiuti, legno, carta, cereali, veicoli a motori, macchinari e apparecchiature, per citarne alcune), che messe insieme valgono 136 miliardi di import/export. Inoltre, sul versante austriaco i lavori per la realizzazione del tunnel di base sono molto più indietro, mentre l’Italia ha già scavato 140 km di gallerie sui 230 km totali di propria competenza (il 64%). A questi ritmi, “purtroppo il tunnel di base non sarà pronto del 2030-2031”, ha confessato il ministro Giovannini. Eppure l’opera è strategica per l’intero Green New Deal europeo, che prevede di ridurre le emissioni di CO2 derivanti dai trasporti del 90% da qui al 2050.

Il Brennero compone un tassello fondamentale dell’asse scandinavo-mediterraneo (ScanMed), che collega l’Italia con uno dei principali partner commerciali, la Germania, e con altri Paesi del Nord Europa. Contando anche Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia (ScanMed “allargato”), l’Italia nel 2019 ha esportato verso questi Paesi quasi 104 miliardi di euro di merci, il 38% del totale esportato nell’Unione europea. La mancanza di una infrastruttura moderna, come quella realizzata al Gottardo, penalizza dunque l’export del made in Italy in mercati di sbocco cruciali. Per dare un dato, quello relativo al 2019 (il 2020 è un anno a parte, causa Covid) indica che le esportazioni complessive nei confronti dei 28 Paesi dell’Unione europee sono cresciute quasi del 3%, ma solo dell’1% sul corridoio ScanMed. Eppure l’Italia sta facendo la sua parte, che è molto rilevante nel progetto complessivo: dei 9.300 km di ferrovia, oltre 3.000 sono in territorio italiano, dove ci sono anche 9 porti su 23 e 13 terminal intermodali su 44. Gli hub sono fondamentali, e quello individuato per lo ScanMed è Verona, sul quale Fs sta già portando avanti importanti investimenti. Secondo il report di Unioncamere, dei 515 progetti totali da completare entro il 2030, 140 sono in Italia, per un valore di 32 miliardi di euro (sui 119 complessivi).

“La cooperazione tra i gruppi ferroviari dei Paesi interessati già c’è”, sostiene Antonello Fontanili di Unioncamere. Il problema è politico e ambientale. Il Tirolo continua a mettere al centro della questione l’aspetto ambientale, decidendo in base alle proprie valutazioni e imponendo severe limitazioni sia all’attuale traffico che all’avanzamento del nuovo progetto. Una soluzione, secondo Unioncamere, sarebbe di demandare all’Agenzia europea per l’ambiente un riesame sull’effettivo impatto dei veicoli pesanti: “Dovrebbe essere un ente europeo ad occuparsene, e non il Tirolo – spiega ancora Fontanili -. I dati sulle emissioni degli ultimi anni nelle aree attraversate dall’A22 (Trento, Bolzano e altre località, ndr) raccontano che il picco di inquinamento si ha nella stagione turistica invernale, quando circolano più veicoli leggeri. Questo indica che non sono i veicoli commerciali a causare lo sforamento delle soglie di attenzione. Inoltre, i collegamenti vanno utilizzati h24, non ha più alcun senso la chiusura notturna”.

La realizzazione del tunnel di base darebbe un’ulteriore e importantissima spinta allo scambio commerciale, facendo convergere buona parte del traffico su rotaia e riconoscendo le dovute attenzioni ambientali al traffico stradale, attraverso la digitalizzazione delle infrastrutture e il potenziamento delle stazioni di ricarica per i veicoli a propulsione alternativa, laddove invece dall’Austria arrivano più facilmente mezzi diesel, considerato il costo molto più conveniente del gasolio. A pieno regime, nel 2039, Unioncamere stima una crescita del traffico totale di circa un terzo, dai quasi 62 milioni di ton ipotizzati nel 2029 agli 83,2 milioni di ton di dieci anni dopo. Ma soprattutto verrebbe più che raddoppiato il traffico su ferrovia, da 17,3 milioni di ton a 41,6 milioni, pareggiando dunque il dato previsto per il traffico su strada, che invece nel 2029 sarà ancora di 44,6 milioni di ton, con 3 milioni di veicoli circolanti. Questi veicoli nel 2039 diventeranno 2,8 milioni.

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