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Transizione ecologica, il fattore decisivo è il consenso: cosa pensano davvero gli italiani

Un nuovo studio di Project Tempo fotografa l’atteggiamento degli elettori italiani di fronte alla svolta verde. Tra favore, dubbi e richieste di equità, emergono cinque profili chiave per interpretare il consenso sulla transizione energetica

Transizione ecologica, il fattore decisivo è il consenso: cosa pensano davvero gli italiani

Non è vero che agli italiani non importa del clima. Tutt’altro: la maggioranza si dice favorevole allo sviluppo di nuovi impianti per l’energia rinnovabile anche nel proprio territorio, purché vi siano condizioni chiare e vantaggi percepibili. È quanto emerge da un nuovo studio condotto da Project Tempo, organizzazione di ricerca indipendente attiva a livello europeo, che ha analizzato in profondità gli atteggiamenti dei cittadini verso la transizione ecologica.

Secondo i dati, ad esempio, la possibilità di ottenere uno sconto diretto in bolletta aumenterebbe il sostegno ai progetti solari di quasi il 30%. Una conferma, questa, che l’adesione al cambiamento passa anche (e forse soprattutto) per incentivi concreti e benefici tangibili.

Lo studio, presentato a Roma con la partecipazione, tra gli altri, dell’ex ministro Enrico Giovannini e di Chiara Di Mambro del think tank ECCO, sottolinea come il consenso per le rinnovabili non sia uniforme sul territorio. In regioni come Puglia, Sicilia e Sardegna – oggi in ritardo sugli obiettivi europei – la resistenza è più forte. Ma è proprio qui che l’accettazione cresce quando si inseriscono nel dibattito elementi come l’occupazione locale, le ricadute sulle tariffe energetiche e la cooperazione tra enti pubblici e privati.

Cinque volti dell’elettorato: chi sostiene (davvero) la transizione?

Attraverso una metodologia che coniuga dati quantitativi e qualitativi, Project Tempo ha delineato cinque profili socio-politici che aiutano a capire come e perché gli italiani reagiscono in modo diverso alla transizione climatica:

  • Gli eco-sostenitori: convinti e attivi, credono da tempo nella necessità di un cambio di rotta ambientale. Ma sono spesso frustrati dalla lentezza e dall’inefficacia delle politiche pubbliche.
  • Gli esclusi in difficoltà: vulnerabili economicamente, sono preoccupati dall’impatto che la transizione potrebbe avere sul loro tenore di vita. Riconoscono l’urgenza climatica, ma temono di pagarne il prezzo.
  • I tradizionalisti: moderatamente conservatori, apprezzano il valore strategico delle rinnovabili ma diffidano di politiche percepite come troppo rapide o costose.
  • Gli individualisti: orientati alla sicurezza economica e alla crescita, sono favorevoli solo quando possono toccare con mano i vantaggi della transizione.
  • Gli scettici del clima: in prevalenza anziani e conservatori, tendono a minimizzare la crisi e non si sentono coinvolti nel cambiamento.

Questa segmentazione restituisce un elettorato tutt’altro che monolitico. Il successo delle politiche climatiche, avverte il rapporto, dipenderà dalla capacità di parlare a ciascuno di questi gruppi in modo differenziato. Per questo, lo studio invita a progettare politiche e comunicazione su misura, capaci di tenere insieme sostenibilità, equità e benefici tangibili. Solo così sarà possibile trasformare la transizione in un processo condiviso, costruito sulla fiducia e non su imposizioni. Per coinvolgere anche i più diffidenti serve prima di tutto un cambio di approccio: più dialogo, più ascolto, più concretezza.

Il consenso si costruisce: non basta la tecnologia

Una delle lezioni più chiare che emergono dallo studio è che la transizione ecologica non sarà solo una questione di pannelli, turbine e idrogeno. È – prima di tutto – un processo politico e culturale. Richiede fiducia, ascolto e partecipazione. I dati dimostrano che i cittadini sono più disposti ad accettare cambiamenti radicali se questi sono accompagnati da trasparenza, benefici condivisi e relazioni di fiducia tra cittadini e istituzioni. Incentivi economici, riduzione delle disuguaglianze, coinvolgimento delle comunità locali sono leve imprescindibili per costruire un consenso stabile.

Come ha sottolineato Chiara Di Mambro, “la sfida della transizione va oltre l’innovazione tecnologica: è una questione di equità sociale e partecipazione democratica. La transizione ecologica sarà veramente efficace solo se riuscirà a coinvolgere tutti, compresi coloro che attualmente sono più distanti dal dibattito sul clima. Comprendere i valori, i timori e le aspirazioni dei cittadini è il primo passo verso la costruzione di politiche eque e concrete, radicate nelle comunità, politiche in grado di innescare davvero il cambiamento necessario per la transizione”.

“In molte regioni d’Italia” – ha ribadito Enrico Giovannini – “l’impegno a ridurre i costi dei servizi pubblici locali e a creare posti di lavoro ben retribuiti contribuirebbe a sostenere progetti infrastrutturali per le energie rinnovabili, che a loro volta favorirebbero la decarbonizzazione. Sono contento di poter approfondire i dati che sono stati presentati e di sostenerli nella ricerca in corso su clima e politiche economiche.”

“La transizione non è solo una tabella di marcia europea: è una questione che tocca la vita delle persone”, ha ricordato Pandora Lefroy, fondatrice di Project Tempo. “Per questo bisogna costruire politiche che tengano conto delle diverse realtà sociali, economiche e culturali del Paese. Il nostro studio vuole essere uno strumento per fare esattamente questo”.

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