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Tornano in laguna le ostriche scomparse della Serenissima, progetto Ca’ Foscari di una ricercatrice romana

Il progetto della biologa Camilla Bertolini punta a riavviare la coltivazione sostenibile di una qualità pregiata scomparsa nell’800. Progetto di grande valore ambientale ma anche socioeconomico per l’acquacoltura locale. Ultime notizie: trovate a Lio Piccolo gusci di ostriche di epoca romana

Tornano in laguna le ostriche scomparse della Serenissima, progetto Ca’ Foscari di una  ricercatrice romana

La laguna veneta tenta di riportare indietro le lancette dell’orologio. Ai tempi in cui Le acque lagunari non erano ancora state inquinate da scarichi industriali e l’habitat viveva ancora una sua dimensione naturale.

L’ambizioso progetto, che non è utopico ma già in stato avanzato di realizzazione, lo si deve a una biologa marina neovincitrice di una borsa Marie Sklodowska-Curie European Fellowship all’Università Ca’ Foscari, Camilla Bertolini, romana che ha avviato il progetto MAREA (Matchmaking Restoration Ecology and Aquaculture) per il reinserimento nelle acque lagunari di una antica varietà di ostrica bivalva scomparsa oltre un secolo fa.  Un tempo fortemente apprezzata per il suo gusto e le sue qualità organolettiche.

Della sua scomparsa si lamentava già il 5 gennaio del 1863 il professor Molin membro del reale istituto Veneto di Scienze lettere ed arti, lanciando un grido di allarme sulla Gazzetta di Venezia contro il deterioramento dei fondali e della pesca selvaggia che aveva portato alla scomparsa della pregiata ostrica piatta bivalve.

Un’ostrica di pregio che può contribuire a sviluppare l’acquacoltura e dare occupazione

“La produzione delle ostriche nelle paludi e nei canali – scriveva allora il prof. Molin, ma il suo testo è tuttora di grande attualità – oggidì ridotta a uno stato deplorabile, in parte perché vennero resi improduttivi i fondi, ed in parte perché vennero estirpate le ostriche produttrici. La prima cosa adunque che far si deve, è quella di ristabilire i fondi. Ella è questa una operazione, la quale esige una certa spesa, non mai però una spesa enorme, in quanto ella consiste nel tappezzare i fondi di corpi solidi, quali sarebbero gusci di altri molluschi disseccati per qualche mese al sole, affinché vi periscano tutti i parassiti che potessero albergare; e di spargervi sopra un certo numero di ostriche madri; operazione colla quale cominciò il governo francese ogni qual volta volle rimettere nella loro primitiva floridezza i banchi da ostriche delle sue coste. A questa operazione deve succedere una saggia legislatura sulla pesca del mollusco. […]”.

Quell’appello, rimasto inascoltato, a distanza di oltre un secolo e stato raccolto dalla ricercatrice Camilla Bertolini, oggi attiva presso il dipartimento di Scienze ambientali informatica e statistica dell’università.ca Foscari di Venezia dove si occupa delle conseguenze dei cambiamenti climatici sulla laguna con focus sullo sviluppo e l’allevamento dei molluschi bivalvi che la popolano.

Forte di una solida formazione internazionale la Bertolini insieme a una squadra interdisciplinare coordinata dal professor Roberto Pastres è oggi impegnata nel progetto che punta a reinserire l’allevamento della pregiata ostrica bivalve della Serenissima con la collaborazione di acquacoltori locali.

Con il progetto MAREA (Matchmaking Restoration Ecology and Aquaculture), in particolare, in una parte della laguna, che presenta particolari caratteristiche di purezza delle acque, sono già state immesse 2200 ostriche importate dalla Croazia che dovranno essere la base, o meglio le progenitrici di una nuova colonia veneta dando forte impulso a un’acquacoltura lagunare sostenibile di ostriche autoctone. Un progetto che al di là della sua valenza scientifica presenta interessanti aspetti non solo dal punto di vista ambientale ma anche socioeconomico.

Un progetto ecosostenibile: riduce leutrofizzazione, il plancton extra, l’azoto in eccesso, la CO2

«È un progetto di acquacoltura di ripristino che fa bene all’ambiente e può portare proteine per il consumo umano» ha spiegato spiega Camilla Bertolini. «Vogliamo reintrodurre questa specie che si è persa per dimostrare che voler ripristinare l’ambiente non deve essere distaccato dall’economia e dal benessere umano. L’ostrica piatta è scomparsa in tutta Europa alla fine dell’Ottocento per una varietà di fattori: la pesca eccessiva, due malattie e l’importazione di un’altra specie di ostrica più resistente e che cresce più velocemente».

«Le ostriche filtrano ampie quantità di acqua, circa 200 litri al giorno; con la loro presenza si riducono l’eutrofizzazione, il plancton extra, l’azoto in eccesso, la CO2. Aiutano anche la protezione dei fondali, aumentano la biodiversità e danno un luogo ai pesci per nascondersi e deporre le uova. Per questo porterebbero benefici alla pesca” dando conseguentemente nuovo impulso a un’acquacoltura lagunare sostenibile di ostriche autoctone, favorendo una pesca poco invasiva e un ritorno economico per le piccole realtà imprenditoriali locali.

In particolare, Camilla Bertolini spiega che il gruppo dei 2200 “fondatori” della nuova colonia è composto per metà di metà maschi e per metà di femmine. E il primo problema con cui si è dovuto misurare il gruppo di studio è stato verificare la loro capacità di vivere in laguna. L’aspetto ambientale non è separato da quello economico: infatti il secondo passo è stato quello di monitorare la prima riproduzione per poter raccogliere il seme e provare a coltivarlo. L’obiettivo dichiarato è di far nascere una filiera di acquacoltori. Tra l’altro, particolare non irrilevante, la specie perché ha un valore di mercato molto più alto degli altri mitili coltivati in laguna e questo renderebbe oltremodo remunerativo il suo allevamento con conseguenti benefici per il tessuto sociale ed economico dell’area.  

I greci utilizzavano le ostriche per le votazioni, i romani raffinati intenditori

Per la cronaca la coltivazione delle ostriche nella laguna veneta risale ai tempi dei romani. È notizia di attualità di questi giorni che un gruppo di archeologi hanno rinvenuto nei pressi di una villa romana di Lio Piccolo nel Comune di Cavallino Treporti una serie di piscine dedicate all’acquacoltura. la struttura sommersa serviva per la conservazione, forse poco prima della consumazione, di ostriche. I crostacei rinvenuti sul fondo della vasca si sono infatti conservati.

Gli antichi Romani erano gran consumatori di ostriche, già apprezzate presso i Greci, che ne utilizzavano i gusci anche per le votazioni pubbliche, che mangiavano sia crude che cotte. Non solo consumatori ma anche grandi intenditori. Fa fede quanto si legge in un testo di Plinio storico autorevole e gastronomo raffinato: “Le ostriche del Mar di Marmara sono già più grosse di quelle di Lucrino, più dolci di quelle della Bretagna, più gustose di quelle di Medoc, più piccanti di quelle di Efeso, più piene di quelle spagnole… più bianche di quelle del Circeo; di quest’ultime è assodato che non ve ne sono di più dolci o più tenere”.

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