A un anno di distanza dalla prima edizione si riuniscono di nuovo in Veneto, nella splendida cornice di Castelbrando a Cison di Valmarino, i big dell’innovazione tecnologica italiana ed internazionale, che proprio da queste parte trova il terreno più fertile della Penisola e che sotto l’egida di Ambrosetti – The European House dedica un secondo forum all’argomento.
Ma a che punto è l’innovazione tecnologica in Italia, al cospetto di una legislazione ancora troppo complicata (nonostante l’agenda digitale approvata dal governo Monti, primo passo importante per le startup) e di una cultura che forse non è ancora così improntata al nuovo e all’investimento sulle idee e sul rischio? La community Ambrosetti ha pubblicato il rapporto TITT (Tecnologia, Innovazione e Trasferimento Tecnologico) dal quale emerge che gli Usa sono ancora il Paese guida del sistema innovativo mondiale mentre l’Asia scala le classifiche con la Cina che cresce in termini di indicatori di output, la Corea del Sud e Singapore che si confermano centri di riferimento mondiale, e nuovi protagonisti che si affacciano prepotentemente sul panorama internazionale come Israele, Cile e Brasile.
L’Europa si conferma tra alti e bassi: alcuni Paesi sono assolutamente leader, come gli scandinavi che investono oltre il 3% del Pil in innovazione, e altri modesti o moderati, come l’Italia, che nella classifica della capacità innovativa stilata dalla Commissione Ue risulta ancora sotto la media europea. Il Belpaese di una volta non sembra infatti troppo proiettato sul futuro: startup e spinoff sono ancora termini sconosciuti ai più e non stupisce perciò che gli investimenti in innovazione siano solo l’1,26% del Pil, mentre la media dell’Ue-27 è 2%, la Finlandia è al top mondiale col 3,8% e in termini percentuali peggio di noi fa solo la Grecia (0,6%).
In termini assoluti, tanto per dare un’idea, l’Italia ha investito in R&S nel 2011 (dati Ocse e Eurostat) la cifra complessiva di 19,2 miliardi di euro, al cospetto dei 302,6 miliardi degli Usa, dei 115,7 della Cina, dei 103,6 del Giappone, o ancora dei 70,5 della Germania e dei 39,5 della Francia. La scarsa capacità innovativa si inserisce del resto in una più generale difficoltà sistemica dell’economia dello Stivale, che in termini reali ha visto il proprio Pil crescere tra 2000 e 2012 del solo 0,4% (1,4% la media Paesi Ocse), mentre il reddito pro capite è diminuito dello 0,2% dal 2000 e il potere d’acquisto dei cittadini del 6% nello stesso periodo (dati Istat). Senza contare che la produttività totale (Tfp: Total Factor Productivity) registra nel decennio 2000-2010 la peggiore performance tra i principali Paesi industrializzati: è l’unica (insieme allo 0,1% della Spagna) a calare, e lo fa dello 0,5%, mentre Francia e Germania sono a +0,3 e +0,6%, gli Usa a 1,2% e la Corea del Sud a +3,1%.
Pochi investimenti in un’economia malata (forse proprio per quel motivo?), eppure le idee non mancano. Il vero problema dunque, secondo il rapporto del forum Ambrosetti, è proprio che le buone idee faticano a tradursi in innovazione sostanziale e punti di Pil, come dimostrato dalla bassa densità brevettuale (12 brevetti ogni milione di abitanti, nell’eurozona sono 67, in Giappone 123) e dai valori in diminuzione delle esportazioni ad alta intensità in R&S (dal 9% del 2000 all’attuale 6,8%).
Infine, il sistema di innovazione italiano è sempre meno “aperto”, ovvero sempre meno propenso ad attrarre investimenti stranieri: i brevetti registrati in collaborazione con inventori stranieri sono pochi (13,5% vs 24,5% in Uk); solo il 12,1% delle imprese che innovano dichiarano di cooperare con enti di ricerca/imprese esterne; e il sistema “perde fondi” UE: nel VII Programma Quadro per la Ricerca e lo Sviluppo Tecnologico l’Italia ha registrato un rapporto percentuale di rientro finanziario tra sostegno al budget europeo e finanziamenti all’innovazione comunitari di poco superiore al 60% rispetto all’85% registrato dalla Germania, al 78% della Spagna e al 183% dell’Estonia.
Allegati: rapporto titt 2013.pdf