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Tamara de Lempicka, l’erotismo celato negli sguardi

Una vita circondata da leggende, con amori maschili e femminili e un carattere cinico e disinibito verso concetti eterni di fedeltà o gelosia. Un insieme di forme e atteggiamenti che fecero di lei una figura mitica.

Tamara de Lempicka, l’erotismo celato negli sguardi

Tutto traeva origine dalla sua origine, dove un’estetica decadente e simbolista di matrice russa si contrapponeva al futurismo secondo l’interpretazione di Valentine de Saint- Point, autrice del Manifesto futurista della Lussuria.

Nata a Varsavia nel 1898 si trasferì poi a San Pietroburgo con il nome di battesimo, Gorska. A breve sposò Tadeusz Lempicki, un giovane uomo, laureato in legge, amante delle donne e del tempo perso, da qui abbandonò il suo cognome per prendere quello del marito e trasferirsi a Parigi, era il 1919.

La sua passione per l’arte era quasi “carnale” e in soli pochi anni, dal 1919 al 1922, riuscì ad impadronirsi del mestiere come una grandissima professionista. I primi dipinti come: Le due amiche o La donna in abito nero erano già opere di grande composizione cromatica, proprie dell’arte di Tamara.

La sua figura è prepotentemente visiva, dove una certa deformazione entra in linee conduttrici curve che disegnano cerchi e archi. Il soggetto sembra quasi una composizione scultorea secondo una lezione, quella cubista.

Non usa molti colori, le tele riprendono spesso le medesime cromie, il nero con il grigio serve a smorzare i rapporti più forti, volti con le orbite evidenti degli occhi segnate da archi sopraccigliari netti, trucchi scuri che ricordano l’uso di Marlene Dietrich di stendere sulle palpebre la cenere degli sigarette stemperata nel caffè.

Frequentò due scuole di due artisti: Maurice Denis, pittore simbolista, e André Lhote, di formazione cubista che nel 1922 fondò la scuola d’Odessa a Montparnasse. Tamara eredita da entrambe i suoi maestri, la ricerca dello stile che necessariamente diventa controllo dell’immagine, tumulto di passioni capace di coinvolgere lo spettatore. E così che i personaggi di Tamara diventano statue immobili, manichini femminili con un’ambiguità giocata sugli sguardi.

L’intelligenza pittorica è per l’artista una sorta di equilibrio che deve eliminare tutto ciò che appare volgare, e ci riesce con grande raffinatezza. Interessanti sono gli arabeschi dei volti che troviamo nei dipinti di Tamara degli anni ’20, come La testa di donna slava che richiama certi volti del Bronzino o modelli del Pontormo.

Tamara per tutta la sua vita cercò di ritrarre personaggi che avessero una storia capace quasi di influenzare il dipinto, quasi volesse trasferire la loro fama per dare gloria alla sua opera, o che la stessa fosse capace di rifletterla.

Nel 1925 dipinse alcuni ritratti tra cui Il ritratto del marchese Sommi, dove la geometria e le linee combinano una figura posta quasi su piani asimmetrici, tali da spezzare il quadro in diverse sovrapposizioni e dove risaltano, la mano – con un anello in oro con al centro uno smeraldo – appoggiata al braccio e il volto dai lineamenti piuttosto femminili.

Nella seconda metà degli anni ’20, Tamara viene assorbita dalla ricerca del “ritmo pittorico” frutto della teoria di Lhote. Nel quadro “Gruppo di quattro nudi” troviamo un sistema di linee, archi e ovali, proprio attraverso i profili e le ombre dei corpi.

Più tardi osserva Ingres, il ritrattista dei nobili e dell’alta borghesia, nel suo tentativo di trovare un ideale di Stile intellettuale. Nelle opere successive di Tamara, ritroviamo gli ideali estetici di Ingres, tanto più le linee e le forme sono semplici, tanto più c’è bellezza e forza, e il colore aggiunge ornamento ma non è che una dama di compagnia.

Tamara ama i grigi per gli sfondi dei suoi quadri, ma anche per le architetture, grigie le pareti di casa sua e anche delle gallerie dove esponeva.  Quel grigio dell’equilibrio e dell’armonia delle architetture fiorentine che troviamo dietro ai ritratti del Pontormo.

Negli anni successivi i personaggi da nudi, si vestono pesantemente con abiti squadrati e voluminosi che nascondono i corpi e li sublimano a tal punto da far credere che l’abito sia quasi un velo bagnato che aderisce alla pelle, come ad esempio Ragazza con guanti, dove l’abito verde appoggia al corpo e ne esalta le parti anatomiche, ma senza mai alcun cenno di volgarità, tutto appare naturale.

Mentre altri come Ritratto di Madame Allan Batt del 1930, la figura ha una elegante plasticità, quasi una danza di pieghe dell’abito grigio-argento avvolto in una stola rossa con pelliccia e sullo sfondo alti grattacieli americani immersi nella notte.

In quegli stessi anni, problematica del lesbismo era di grande attualità, indipendentemente dalle propensione della Lempicka. Un esempio lo troviamo nella prima edizione della Recherche di Marcel Proust, in cui sono descritti diversi episodi di amori femminili. Donne di borghesia che animano la vita intellettuale della “rive gauche“. Tamara nel 1933, dedica un ritratto che viene presentato a tutta la Parigi che conta.

 

In un certo momento, siamo nel 1933, Tamara inizia a dipingere quadri con soggetto religioso, e lo stesso anno espone al Salon des Tuileries una Giovanna d’Arco mentre sente le voci. Una pittura che intende rimuovere l’alta società, preferendo gli emarginati. Altri dipinti sono, Sant’Antonio, San Giovanni Battista, tutti esempi di un forte cambiamento pittorico dell’autrice.

Da qui inizia per la Lempicka un periodo dove la forza ispiratrice si affievolisce e diventa ancora più evidente nel periodo statunitense, dove si era trasferita a partire dal 1939. Dipinge nature morte dove si rivela un’evidente stanchezza di maniera, gli sguardi sono appannati e lontani dal periodo parigino. Negli anni ’40 e ’50 comunicano solo un tono fermo, immobile, dove la plasticità appare quasi goffa.

Concluse la sua carriera e la sua vita ri-dipingendo opere degli “année folles” a Parigi. Li ricopiava da fotografie ma nulla poteva essere come prima.

 
Tamara in studio
Tamara de Lempicka in studio

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