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Superlega: tutti i pro e tutti i contro

Avidità o lotta per la sopravvivenza? Meritocrazia vera o finta? Solidarietà o no? Nella guerra del pallone attorno alla Superlega entra in gioco anche la variabile elettorale con l’avvicinarsi del voto in Germania e Francia. Ecco a confronto le posizioni dei due schieramenti

Superlega: tutti i pro e tutti i contro

E’ l’ora delle pistole spianate. O, se preferite dei bluff. Solo più avanti, una volta presa una decisione sulla sorte della Champions League di quest’anno, si potrà tentare la strada del compromesso, comunque non facile. Prima, però, l’Uefa dovrà scegliere: linea dura, ovvero fuori subito tre delle quattro semifinaliste dell’attuale edizione (Manchester City, Chelsea  e Real Madrid) più due dell’Euroleague (Arsenal e Manchester United) aprendo la strada ad una finale Roma-Villareal, che sarebbe davvero curiosa. Oppure aggiornare le decisioni e tentar di salvare anche l’Europeo. 

LA COPPA AL PSG? VITTORIA DI PIRRO. E L’EUROLEAGUE ALLA ROMA

Nel primo caso, il verdetto sportivo potrebbe attribuire a tavolino la coppa dalle grandi orecchie al Paris Saint Germain degli sceicchi che insegue il successo da sempre. Ma non è solo per questo che il club parigino, pur sollecitato, non ha scelto la strada dei ribelli. Lo sceicco Nasser El Khelaifi è anche il proprietario dei diritti tv della Champions per i diversi Paesi attraverso Bein. Ma, soprattutto, nel 2022 il Qatar ospiterà i Mondiali. Non è il caso di mettere di nuovo in discussione la sede sfidando l’Uefa. La scelta di Doha ha già fatto una vittima: Michel Platini, allora ai vertici dell’Uefa, folgorato dalle mazzette incassate per favorire il Mondiale nel Golfo, sotto le forti pressioni di Nicolas Sarkozy, allora all’Eliseo. Gli Stati Uniti, battuti al ballottaggio, non la presero bene: un’indagine dell’Fbi portò ad una retata di dirigenti a Ginevra e alle successive dimissioni di Sepp Blatter.

PERCHÉ FRANCIA E GERMANIA STANNO FUORI?

Insomma, chi tocca il calcio lo fa a proprio rischio e pericolo. Non a caso, lo scisma dei 12 ribelli è da domenica al centro delle cronache politiche. Con il risultato, per ora, di aver messo assieme Boris Johnson, il più duro assieme ad Emmanuel Macron, nel condannare gli insorti. E’ la prima volta che capita, dalla Brexit in poi. Italia e Spagna hanno, con prudenza, fatta propria la condanna in nome della meritocrazia sportiva. 

Lo “scisma”, peraltro non ha coinvolto l’asse renano dell’Unione Europea: sia i club francesi che quelli della Bundesliga hanno rifiutato, almeno per ora, le avances degli scissionisti. Karl-Heinz Rummenigge, anima del Bayern e destinato a succedere ad Andrea Agnelli nell’Uefa, ha peraltro ammesso di aver avuto più contatti con il fronte ribelle. Ma alla fine ha detto no. Un po’ per la condizione di grazia del calcio tedesco (pubblico in aumento, crescita di rivali all’altezza in patria), un po’ perché, come in Francia, battono alle porte le elezioni. Non è il momento di sfidare i leaders, insomma. 

L’ACCUSA: UN CALCIO SOLO PER I RICCHI

Al di là della geopolitica, la partita si gioca su più terreni. A scanso di equivoci stamane il presidente della Fifa Gianni Infantino si è schierato con il governo europeo del pallone, smentendo nei fatti possibili aperture. Il fronte Uefa si fa forte di due argomenti sul piano etico: il principio del merito e, in parallelo, il rifiuto della divisione tra “ricchi” e “poveri”. Il campo, ironizza qualcuno, ha già risposto ad Andrea Agnelli che incautamente un anno fa dichiarò che l’Atalanta non aveva i numeri per partecipare ad una superLeague europea.  Il fascino del calcio, da sempre, consiste nell’imprevedibilità del gioco, che permette ad un Leicester qualsiasi di aver ragione dei miliardari della Premier. Non ha senso l’esclusione dei più poveri, costretti a misurarsi con squadre che, una volta partita la Super League, avrebbero fatturati di almeno dieci volte superiori.

PEREZ: COSI’ È UN BAGNO DI SANGUE, BISOGNA CAMBIARE

Troppa retorica, risponde il presidente del Real Madrid Florentino Perez , leader carismatico  della revoluciòn. “Questa non è una Lega per i ricchi, è una lega per salvare il calcio”. Certo, i club coinvolti sono quasi tutti fortemente indebitati, ma questa è una conseguenza di un sistema che non funziona più: calano gli incassi, cala l’interesse (soprattutto dei giovani) mentre sul fronte delle uscite il sistema resta rigido. Dice il presidente del Real (nonché patron delle autostrade d’Europa): “Il pubblico sta diminuendo, i diritti stanno diminuendo e bisognava fare qualcosa. Siamo tutti rovinati. La televisione deve cambiare così noi. Basta con l’immagine dei ricchi scemi”. “Complessivamente abbiamo perso 5 miliardi –  ha aggiunto – In due stagioni Madrid ha perso 400 milioni”. 

ALLARGARE LA CHAMPIONS? PER I RIBELLI NON VA

Andrea Agnelli di recente ha sottolineato che i problemi, già esistenti, sono diventati insostenibili ai tempi della pandemia: sono saltati i campionati minori, nessuno usa più i campi di periferia e il calcio, se non si fa qualcosa, è destinato a perdere appeal per i più giovani. Né si può chiedere ai club in sofferenza di sostenere gli investimenti necessari per un rilancio. A meno che non cambino le cose. Perez concorda: “I giovani non sono più interessati al calcio perché ci sono molte partite di pessima qualità ed hanno altre piattaforme su cui distrarsi”, ha spiegato sottolineando che “la risposta giusta non è quella di allargare la Champions come ha fatto l’Uefa”. ”Se continueremo così ci sarà sempre meno interesse e poi verrà la fine. Il nuovo format, che inizierà nel 2024, è assurdo… saremo tutti morti nel 2024“.

NESSUN PENTIMENTO PER LE SPESE FOLLI

Come siamo arrivati a questo punto? Sotto accusa sono le spese folli proprio dei presidenti che piangono miseria. Ieri il Tottenham, uno degli scissionisti, ha licenziato José Mourinho che, per contratto, potrà rivendicare più di 50 milioni di sterline…  Tutti i tentativi di mettere sotto controllo le spese sono miseramente falliti. E nel frattempo il sistema ha arricchito i procuratori.  Ora, per tutta risposta, i signori del pallone puntano ad aumentare le entrate che andranno a finanziare pochi fortunati? E nessuno paga. Anzi. Si mette a punto un sistema che non prevede retrocessioni, tradendo lo spirito dello sport europeo. Perché, dove ci sono le retrocessioni, ci sono pure le promozioni.

RETROCESSIONI? ECCO PERCHÉ IN USA NON CI SONO

Prendiamo atto che la realtà è cambiata, replicano gli scissionisti. A sostenere il sistema sono arrivati investitori in arrivo dall’Asia e dagli Stati Uniti, allettati dalla possibilità di fare del calcio un business profittevole come il basket o il football americano. Uno dei pilastri di quel sistema è il possesso della franchigia, che ha un preciso valore patrimoniale. Chi compra un club, compra (una volta rispettate le garanzie) il diritto di gareggiare, diritto che può pure essere ceduto. Ma attenzione: una volta eliminato il rischio di retrocedere, si possono mettere in cantiere altre riforme, a partire dal salary cap. Per quanto riguarda le promozioni, il meccanismo delle cinque squadre che andranno ad aggiungersi ai fondatori potrà essere rivisto all’insù.

RISCHIO DI PERDERE LE TV

Per ora le tv tacciono. Ma è scontato che JP Morgan, la banca che ha dato il via all’operazione, ha già sondato il terreno. In palio non c’è solo l’esclusiva per i tornei, ma anche i vari format che possono essere studiati per rendere lo spettacolo più adatto ai vari media. C’è una vasta platea che non è interessata a seguire tutti i 90 minuti. “Quando non hai altre fonti di ricavo oltre alla televisione, la soluzione è creare partite più interessanti che i fan di tutto il mondo possono vedere con tutti i grandi club, e siamo giunti alla conclusione che avendo una Superlega, anziché la Champions League, saremo in grado di recuperare parzialmente quanto abbiamo perduto”, ha detto ancora Perez. 

LA SERIE A SENZA I TRE BIG? UNA CATASTROFE

E adesso? A prima vista lo scontro è inevitabile. Ma non conviene a nessuno. Tanto per cominciare, la riunione informale dei presidenti della serie A ha dimostrato che non esiste l’ipotesi di un campionato senza Juventus, Inter e Milan che rappresentano circa la metà della platea dei tifosi (e probabilmente qualcosa in più tra gli abbonati delle varie piattaforme). E al proposito, piccolo giallo, ha creato sospetto  il silenzio di Aurelio De Laurentis: non è , come suggerisce una voce maligna, che JP Morgan sia in contatto con il produttore per un ingresso in scena in  fase successiva? In realtà, per ora c’è già abbastanza confusione senza tirare in ballo altri temi. 

Con il passare delle ore sembra sempre meno probabile che l’Uefa scelga la linea dura, almeno per ora.  Data la legislazione attuale in sede comunitaria è molto difficile che un giudice possa avallare l’esclusione di un club dal campionato o di un giocatore dalla selezione nazionale senza violare il principio della libera circolazione degli atleti. 

Ecco il parere di Antoine Duval, l’avvocato che ha vinto il ricorso di due pattinatori olandesi esclusi dalla nazionale per aver preferito un torneo privato- “Il caso – dice a Le Monde – non è proprio paragonabile. Ma credo che se l’Uefa scegliesse questa strada, sarebbe sufficiente il ricorso di un club per sospendere le sanzioni in vista di un confronto giuridico molto complesso”. Insomma, la paralisi. Perciò? “Le due parti si guarderanno in cagnesco per un po’. Il rischio riguarda solo i Mondiali del Qatar”. 

Nel frattempo, si vedrà. “Se raggiungeremo un accordo con la Uefa vogliamo iniziare ad agosto, altrimenti, possiamo aspettare un anno”, ha concluso conciliante Perez. “La nostra non è una soluzione per i ricchi, è una lega per salvare il calcio”.

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