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Sudan: inizia il quarto mese di conflitto, 3mila civili uccisi e 3 milioni di sfollati

I combattimenti tra le forze armate sudanesi della Saf e le forze di supporto Rsf proseguono con nuovi attori in campo. Aumentano i rischi di disgregazione: la Russia potrebbe mediare

Sudan: inizia il quarto mese di conflitto, 3mila civili uccisi e 3 milioni di sfollati

Al quarto mese dall’inizio del conflitto in Sudan, i combattimenti tra le SAF, le Forze Armate Sudanesi e le RSF, le forze di Supporto Rapido, proseguono con nuovi attori entrati in campo. 

Sudan: 3mila civili uccisi e 3 milioni di sfollati

Le accuse di atrocità sono aumentate durante i recenti combattimenti, con unalto funzionario delle Nazioni Unite in Sudan che ha chiesto alle parti in guerra di assumersi le proprie responsabilità. Circa tremila civili sono stati uccisi, tre milioni sfollati, di cui 1.700.000 dalla zona di Khartoum ed un milione rifugiato all’estero, da quando sono scoppiate le violenze tra il capo dell’esercito sudanese (SAF) Abdel Fattah al-Burhan e il gruppo paramilitare delle Forze di supporto rapido (RSF) del suo ex vice Mohamed Hamdan Daglo.

La geografia dei combattimenti

Le Nazioni Unite hanno avvertito di possibili nuovi massacri in Darfur, affermando che giovedì 6 luglio, i corpi di almeno ottantasette persone presumibilmente uccise il mese scorso dalle RSF e dai loro alleati e sono stati seppelliti in una fossa comune nel Darfur, mentre in un bombardamento aereo delle SAF sulle RSF a Omdurman, oltre trenta civili sono morti.

Sul terreno la situazione vede RSF controllare l’ovest del paese, il Darfur, eccetto una zona occupata da milizie locali. Da li diparte una vasta fascia di territorio che arriva nella zona della capitale, dove le RSF controllano ampia parte di Omdurman, di North Khartoum, zone strategiche di Khartoum stessa, come alcuni ministeri, la fabbrica d’armi GIAD, che da sola si estende per quindici chilometri quadri, l’unica raffineria funzionante del paese e si spingono fin 100 chilometri a nord dalla capitale lungo la valle del Nilo (vedi mappa).

Le SAF controllano tutto il nord del Sudan, verso l’Egitto, l’est con la costa del Mar Rosso e la strategica base navale di Port Sudan, dove si sono trasferite le missioni diplomatiche e le organizzazioni umanitarie ancora funzionanti nel paese. Nel sud del paese, particolarmente negli stati federali del Kordofan Meridionale e del Nilo Azzurro, un movimento separatista locale ha ripreso gli attacchi contro le truppe del governo centrale, (SAF). Questo gruppo è il Sudan People’s Liberation Movement-North di al-Hilu che il 21 giugno ha rotto il suo accordo di cessate il fuoco e ha attaccato unità dell’esercito sudanese nello stato del Kordofan Meridionale, in particolare nella capitale Kadugli e ad al-Dalanj, quest’ultima in coincidenza con un attacco del RSF.

L’esercito ha affermato di aver respinto gli attacchi, mentre i ribelli hanno affermato di aver attaccato per rappresaglia per la morte di uno dei loro soldati per mano delle SAF e hanno promesso di liberare la regione dall’occupazione militare. Il 25 giugno, il gruppo ha attaccato le postazioni SAF a Kurmuk, Stato del Nilo Azzurro, vicino al confine con l’Etiopia, mentre a luglio, l’SPLM-N (al-Hilu) ha sequestrato diverse guarnigioni dell’esercito nel Kordofan meridionale.

Naturalmente vi sono speculazioni sul fatto che gli attacchi di al-Hilu fossero parte di un’alleanza non ufficiale tra lui e l’RSF o un tentativo di rafforzare la sua posizione nei futuri negoziati riguardanti il suo gruppo. Il gruppo rivale del SPLM-N (al-Hilu) in questi stati è l’SPLM-N (Agar): a metà del 2017, l’SPLM-N si divise tra una fazione guidata da Abdelaziz al-Hilu e una guidata da Malik Agar con combattimenti tra le due fazioni. Un fattore chiave che ha motivato la scissione è stato che il gruppo di al-Hilu ha insistito per includere l’istituzione di uno stato laico nei negoziati con il governo di al-Bashir dell’epoca, mentre il gruppo di Agar non era d’accordo. Durante l’attuale conflitto Malik Agar è stato nominato vice capo del Consiglio di sovranità di transizione il 19 maggio dal leader de facto Abdel Fattah al-Burhan, sostituendo il generale Mohamed Hamdan “Hemedti” Dagalo, che ha lanciato il conflitto in aprile.

Le parti chiedono alla Russia di mediare

Come si evince da questi sviluppi e dalla situazione sul terreno il Sudan rischia disgregarsi ulteriormente, dopo aver perso il Sud Sudan nel 2011. L’occupazione della frontiera del Sudan con il Ciad, paese che ha truppe ed aerei francesi in loco, da parte delle RSF, dimostra da dove vengono i rifornimenti per quest’ultimi, così come l’agire lungo la frontiera del Sud Sudan del SPLM-N (al-Hilu), fa sospettare un’appoggio del paese vicino, notoriamente appoggiato dagli Stati Uniti, a quest’ultimi rivoltosi. Vari tentativi di mediazione tra le parti sono in corso, tra cui quella Americana-Saudita e quella dell’IGAD (l’organizzazione regionale che oltre al Sudan, comprende Djibouti, Eritrea, Etiopia, Kenya, Somalia, South Sudan Uganda) ma al momento non si vedono prospettive di accordo. È trapelata la notizia della richiesta delle due parti alla Russia di tentare una mediazione, giacché ambedue conoscono bene la Russia e da essa sono ben conosciuti: alla fine del mese, il 26-27 luglio è prevista la visita a Saint Petersburg di Malik Agar, il vice capo del Consiglio di sovranità di transizione come rappresentante del Sudan alla conferenza Africa-Russia del 2023.

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