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Solo grandi banche per un Paese di piccole imprese? I paradossi della riforma delle Bcc

Se il Governo dovesse raccogliere lo schema centralistico di riforma delle Bcc suggerito dalla Federcasse non solo snaturerebbe il il credito cooperativo ma darebbe vita a un modello bancario sempre più orientato verso il gigantismo in un Paese dove le grandi imprese sono sempre meno e dove la maggioranza delle aziende è di piccole o piccolissime dimensioni e dialoga più facilmente con le piccole banche locali

Solo grandi banche per un Paese di piccole imprese? I paradossi della riforma delle Bcc

Quando nei prossimi giorni si alzerà il sipario sulla promessa riforma delle banche di credito cooperativo (Bcc), si capirà meglio se e fino a che punto il governo Renzi intenda realmente seguire la traccia suggerita dalla Federcasse, l’associazione di categoria che raccoglie la maggioranza delle Bcc ma non tutte, aggregando e centralizzando questa parte del sistema bancario in un’unica holding capogruppo. Se questo fosse lo schema della riforma il sistema delle Bcc, come è emerso chiaramente nei giorni scorsi in un convegno promosso alla Luiss dalla Fondazione Capriglione, correrebbe due grandi rischi: quello di snaturare il sistema mutualistico delle Bcc, che è basato sulla centralità del socio cooperatore e sul legame con il territorio circostante, e quello di far vita al terzo gruppo bancario nazionale senza dotarlo del patrimonio e del know how necessari a competere ad armi pari con banche del calibro di Intesa Sanpaolo e Unicredit.

Ma una riforma centralistica del credito cooperativo farebbe correre al sistema bancario un altro e forse ancor più grave rischio: quello di sbilanciare ulteriormente il mondo delle banche italiane in direzione del gigantismo e della progressiva riduzione o sparizione dei piccoli istituti.

La retorica del “piccolo è bello” ha fatto il suo tempo e nessuno pensa di rispolverarla, ma c’è da chiedersi se in campo bancario non sia il caso di evitare i rischio opposto e non sia il momento di aprire gli occhi di fronte al pericolosissimo dogma del “grande è sempre bello”, che da Lehman in poi ha già fatto danni irreparabili e che ha continuato a farne, nell’arco di tutta la crisi globale, con le gigantesche perdite di Royal Bank of Scotland, di Lloyds Banking Group e della Deutsche Bank, per non dire dei colossi bancari svizzeri e spagnoli.

L’idea della cervellotica regolamentazione bancaria europea di trattare tutte le banche allo stesso modo, penalizzando fatto in termini di ratios patrimoniali e di compliance le piccole banche, al contrario di quanto stanno facendo gli Stati Uniti e il Giappone, è già balzana di per sé ma è ancor più inconcepibile in un Paese a capitalismo diffuso come l’Italia, dove le grandi imprese si contano ormai sulle dita di due mani e la stragrande maggioranza del sistema produttivo è invece composto da medie ma soprattutto da piccole, piccolissime e micro-imprese per le quali il rapporto con la banca di prossimità è essenziale.

Rafforzare e accorpare il sistema delle Bcc è giusto, ma c’e modo e modo di aggregarle e quello vincolistico e centralistico proposto dalla Federcasse sembra rispondere più a regolamenti di conti interni all’associazione che all’interesse del credito cooperativo e del sistema bancario italiano e sarebbe bene che il Governo, che ha il grande merito di aver riformato le banche popolari come nessuno era mai riuscito a fare, aprisse gli occhi prima di compiere passi falsi e di commettere svarioni imperdonabili.

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