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Smart working, non overworking: il caso Sit

L’azienda metalmeccanica padovana ha condiviso una netiquette con i dipendenti: “Il rischio è lavorare troppe ore, bombardati dai troppi mezzi di comunicazione possibili”.

Smart working, non overworking: il caso Sit

Lo smart working è comodissimo, aumenta la produttività ed è anche l’unico strumento possibile in tempi di coronavirus. Ma ha bisogno anch’esso di essere regolamentato. Tra le prime realtà a pensarci e a predisporre una netiquette c’è Sit Group, l’azienda metalmeccanica di Padova quotata in Borsa che ha adottato lo smart working per 275 dipendenti sin dall’inizio dell’emergenza sanitaria. Proprio con i dipendenti i vertici hanno condiviso una lista di “buone regole” per salvaguardare le proprie persone dal rischio di overworking e stress causato dall’uso di troppe piattaforme di comunicazione.

“Sapevamo che lo smart working aumenta la produttività – ha commentato Roberta Fagotto, Chief of Human Capital di SIT – ma essendo il lavoro l’unico aspetto delle nostre vite che non era cambiato ed una delle poche forme di socializzazione durante la quarantena, il rischio era quello di lavorare molte più ore di quelle consentite. Tra le regole, abbiamo indicato la necessità di prendersi delle pause, di effettuare una pausa pranzo vera e disconnessa, di utilizzare i mezzi di comunicazione professionali quali email e video conference cercando di escluderne altri per evitare di sentirsi bombardati dalla tecnologia”. 

Sit aveva avviato già a settembre 2019 un progetto pilota di smart working che ha permesso all’azienda di muoversi con tempestività nel portare in lavoro agile tutte le figure per le quali questa modalità di lavoro era possibile. “Il progetto pilota – ha aggiunto Fagotto – parte dalla convinzione che si può innovare il modo di lavorare anche in un settore produttivo considerato tradizionale, come il metalmeccanico. Il secondo obiettivo che ci siamo dati è quello di sviluppare una cultura di responsabilità e di condivisione, anche quando il lavoro viene svolto al di fuori dell’azienda. Abbiamo agito per fasi: prima un assessment sulle competenze digitali delle nostre persone, poi l’avvio del progetto pilota e in contemporanea l’offerta di formazione mirata a dare ai colleghi tutti gli strumenti utili per questo tipo di metodologia di lavoro”.

Lo smart working dunque risponde a logiche diverse da quelle a cui siamo abituati in ufficio o in azienda, e secondo l’interessante impostazione di Sit va ripensato tout-court l’approccio alle mansioni ed il mindset con cui si svolgono le attività. Sit aveva predisposto il proprio personale a questa formula distribuendo con il progetto pilota il 30% di laptop in più (completi di connessione wi-fi e accesso rete aziendale in tutta sicurezza tramite VPN) ed il 55% di smartphone in più, mentre il sistema di video-conference professionale era già in uso da parte dei dipendenti.

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