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Siri e Raggi: tra Lega e Cinque Stelle botte da orbi

Tra i due partiti al Governo lo scontro è sempre più acceso – Siri indagato per corruzione, Di Maio chiede le dimissioni – L’audio dell’Espresso inguaia Raggi, Salvini ne approfitta per accelerare la campagna per la conquista del Campidoglio

Siri e Raggi: tra Lega e Cinque Stelle botte da orbi

Scontro sempre più furioso tra Lega e Cinque Stelle dopo l’esplosione dei due nuovi casi di presunta corruzione e di malgoverno di ieri. Il sottosegretario leghista alle Infrastrutture, Armando Siri – l’ideologo della flat taxè indagato per corruzione perché avrebbe intascato 30 mila euro da un imprenditore del Sud vicino al boss Matteo Messina Denaro per inserire nella manovra di bilancio un emendamento sulle energie rinnovabili, che in realtà non fu mai approvato.

Il ministro Danilo Toninelli gli ha subito tolto le deleghe da sottosegretario ma i Cinque Stelle pretendono molto di più e cioè le dimissioni, che anche il premier Conte sembra adombrare. Ma il leader della Lega, Matteo Salvini, non ne vuol nemmeno sentir parlare e fa quadrato attorno a Siri. Il leader grillino Luigi Di Maio però non molla: “C’è una questione morale: i fatti sono legati alla mafia”. Replica di Salvini: “Non accettiamo due pesi e due misure”.

Ma il caso Siri non è l’unico a tormentare un Governo sempre più diviso. Ieri il settimanale L’Espresso ha diffuso una registrazione che inguaia il sindaco di Roma, Virginia Raggi. Nella registrazione si sente benissimo il sindaco intimare all’ex presidente dell’Ama (la municipalizzata dei rifiuti), Lorenzo Bagnacani, di aggiustare il bilancio per farlo risultare in rosso. Al rifiuto del manager la Raggi ha risposto destituendolo dall’incarico. Apriti cielo. Anche qui è subito scattata la richiesta di dimissioni del sindacato, naturalmente a parti invertite: i Cinque Stelle difendono – sia pure timidamente – la Raggi, mentre la Lega di Salvini, che ha avviato la campagna per la conquista del Campidoglio, vuole le dimissioni del sindaco e nuove elezioni amministrative nella capitale. Ma la battaglia non è finita.

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