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Sergio Marchionne, 5 anni fa l’addio al manager visionario e anticonformista che ha cambiato la Fiat

Dalla rivoluzione dell’organizzazione del lavoro a Pomigliano al blitz sulla Chrysler Marchionne fu l’uomo della rinascita della Fiat da cui nacque il gigante dell’auto Stellantis

Sergio Marchionne, 5 anni fa l’addio al manager visionario e anticonformista che ha cambiato la Fiat

ll 25 luglio di cinque anni fa una notizia lasciava attoniti i torinesi. Sergio Marchionne, ricoverato in un ospedale svizzero per un rapido intervento ad una spalla dolorante da qualche tempo, come aveva confidato ai suoi collaboratori mentre fissava in agenda gli impegni per la settimana successiva, era mancato improvvisamente all’età di sessantasei anni.

Due giorni prima c’era stata la sua ultima apparizione a Roma durante la cerimonia di consegna di un modello Jeep all’Arma dei Carabinieri, a cui si sentiva particolarmente legato sin da quando, giovane studente e figlio di carabiniere, frequentava la locale sezione di Toronto dell’associazione nazionale dell’Arma. 

Nell’arco di quindici anni la Fiat vedeva scomparire i due simboli della sua grandezza con l’Avvocato nel gennaio 2003 e della sua rinascita con Marchionne nel luglio del 2018.

Chi è stato Sergio Marchionne e come ha cambiato la Fiat

Sergio Marchionne è stato un manager visionario ed anticonformista ed il suo stile ha ammaliato non solo gli analisti finanziari e gli stockholders ma anche i sindacati italiani e buona parte della sinistra.

Per non dire dei due uomini più potenti del mondo, i presidenti Barack Obama e Donald Trump, che si sono rivolti a lui per il salvataggio ed il rilancio della produzione automobilistica negli Stati Uniti.

“Sergio Marchionne è stato uno dei manager più grandi dopo il leggendario Henry Ford”, così nel tweet di Trump alla notizia della sua morte.

Come Henry Ford riteneva che i suoi operai dovessero ricevere salari alti per poter essere acquirenti delle sue vetture, anche per Sergio Marchionne la questione prioritaria non era quella di abbassare i livelli salariali, che rappresentavano solo l’8% dei costi di produzione, ma era piuttosto quello di assicurarsi una regolarità produttiva tale da soddisfare il ritorno economico dei rilevantissimi investimenti.

Ha ricordato recentemente Paolo Rebaudengo, uno dei suoi più stretti collaboratori, che Sergio Marchionne teneva molto alle condizioni in cui lavoravano i suoi operai, “quando arrivava in uno stabilimento guardava la mensa, gli spogliatoi, i servizi igienici, perchè per lui non era concepibile che si lavorasse in strutture non adeguate”.

La svolta decisiva del Sergio Marchionne “operaista” (a volte amava dire: “siamo stati tutti di sinistra da giovani…”) si ha nel gennaio 2008 quando propone ai lavoratori di Pomigliano la sottoscrizione di un patto strategico che, se accettato fattualmente con i loro comportamenti, avrebbe portato lo stabilimento al livello della migliore concorrenza e creato le condizioni per destinare allo stabilimento la produzione di nuovi futuri modelli.

Pomigliano diventa un modello: rivoluzionata l’organizzazione del lavoro

L’impegno aziendale si sarebbe realizzato attraverso un importante piano di investimenti tecnologici (nell’arco dei successivi 24 mesi saranno installati più di 800 robot interconnessi) ed un pesante intervento di formazione dei lavoratori.

Per la prima volta in Fiat, e mai ripresa da altri in Italia, per circa due mesi venne sospesa la normale attività, a mercato aperto, per procedere a una completa riorganizzazione del processo produttivo secondo i principi della nuova organizzazione del lavoro del World Class Manufacturing, studiata e voluta proprio da Sergio Marchionne.

Con il WCM, che vede per ciascun posto di lavoro la sincronia fra l’uomo e i processi tecnologici, si abbandonava la vecchia divisione tayloristica del lavoro, tipica del fordismo, tra il capo che dispone e l’operaio che esegue e si approdava alla fondamentale necessità per l’azienda di un reale coinvolgimento dei lavoratori, visto non solo come semplice consenso agli interventi innovativi, ma come consapevolezza di tutti gli obiettivi relativi alle proprie aree di lavoro, a partire da quello di zero infortuni.

Nel periodo di gennaio e febbraio 2008 veniva così realizzato un piano di formazione di tutti i lavoratori di Pomigliano finalizzato a generare in loro atteggiamenti di autostima e comportamenti lavorativi in linea con gli obiettivi produttivi e qualitativi di uno stabilimento con le migliori pratiche: come, ad esempio, un tasso di assenteismo fisiologico da attestarsi su 1,5-2 punti percentuali contro il 6-7% precedente, un indice di frequenza infortuni da 1,8 a 0, il passaggio da 126 episodi di microconflittualità del 2007 a zero negli anni successivi, un indice di propositività da 2 a 8-10 proposte/anno per lavoratore.

Tutti i costi della fermata, per oltre 100 milioni di euro, furono a carico della Fiat, comprese le retribuzioni e i relativi contributi previdenziali ed assistenziali.

Un piano straordinario per la formazione professionale degli operai di uno stabilimento che non ha richiesto alcun intervento pubblico di sostegno finanziario, e che negli anni successivi Sergio Marchionne ha esteso agli altri stabilimenti italiani, permettendo di posizionarli ai migliori livelli europei di efficienza e di qualità : una eredità che nei fatti è stata trasmessa a Carlos Tavares, il ceo di Stellantis, il gruppo nato dalla fusione tra FCA e PSA.

Sergio Marchionne non ha ridotto l’occupazione né le retribuzioni

Se negli anni passati il sistema Paese ha tentato di fronteggiare le esigenze della globalizzazione cercando di preservare il potenziale competitivo con la precarizzazione del lavoro, la riduzione del personale, la compressione dei trattamenti economici e normativi, o con le delocalizzazioni e le esternalizzazioni, Sergio Marchionne, al contrario, non ha ridotto l’occupazione, ma l’ha protetta con consistenti investimenti (oltre 5 miliardi di euro per gli stabilimenti di Pomigliano, Mirafiori, Melfi e Cassino), non ha diminuito le retribuzioni, anzi il Contratto Fiat ha definito livelli salariali superiori a quelli del CCNL metalmeccanici, non ha delocalizzato all’estero, ma ha riportato dalla Polonia la produzione della Panda, non ha esternalizzato parte del processo produttivo , anzi si è ripreso le attività ausiliarie prima appaltate a terzi, non ha infine tagliato la capacità produttiva ma l’ha incrementata con l’acquisizione di stabilimenti dell’indotto automotive in crisi. 

Così lo ricorda Giovanni Sgambati, oggi segretario generale della Uil Campania, ed uno dei principali artefici dell’accordo sul Contratto di Pomigliano del 2010: “Non ho mai visto un manager così convinto della manifattura. Marchionne ci teneva a rivendicare di essere un metalmeccanico. Era pragmatico e leale e la sua grande innovazione è stata quella di credere e puntare sul Mezzogiorno”. 

Da Pomigliano al blitz su Chrysler

Sarà l’operazione Chrysler nel 2009 che lancerà Sergio Marchionne nell’olimpo dei grandi manager del presente e del passato dell’automobile, oscurando personaggi come Carlos Ghosn,il pdg del Gruppo Renault-Nissan, soprannominato in Francia “il Re Sole dell’auto”, o Richard Wagoner, lo storico ceo della General Motors, artefice della joint-venture GM-Fiat dell’inizio 2000, e sfiduciato dal Presidente Obama. 

Nel pomeriggio del 30 marzo 2009 siamo in riunione al quarto piano del Lingotto, dove viene discusso con Sergio Marchionne il programma operativo industriale degli stabilimenti italiani e le eventuali ricadute sindacali.

Come piace a Sergio Marchionne, nella sala riunioni l’aria condizionata è sparata a manetta e la temperatura è da polo nord; ragione per cui è utile stare ben coperti anche in piena estate (maglioncini esclusi, per evidenti motivi).

Durante la discussione entra un tecnico della ICT (Information and Comunication Technologies) che comunica di essere pronto.

Si accende il grande schermo della sala riunioni su cui appare, via diretta CNN, la sala stampa della Casa Bianca ed una voce fuori campo annuncia il Presidente degli Stati Uniti d’America.

Sergio Marchione apre una cartelletta che teneva a fianco e sui fogli che conteneva segue parola per parola il discorso di Barack Obama.

Tutti restiamo senza parola e, muti e stupefatti, ci guardiamo l’un l’altro. 

Il Presidente degli Stati Uniti annuncia il piano di salvataggio della Chrysler, ormai in procedura fallimentare, presentato dalla Fiat, che entra con il 20% nel capitale dell’azienda americana, e Sergio Marchionne, con l’endorsement presidenziale, ne viene nominato amministratore delegato.

Nella sua autobiografia di oltre 800 pagine “Una Terra Promessa”, l’unico italiano citato da Barack Obama non sarà un rappresentante del governo o un uomo politico, come per i francesi, inglesi, tedeschi, russi o giapponesi, ma Sergio Marchionne. 

Con l’acquisizione della Chrysler, Sergio Marchionne di fatto “compra” una quota del mercato americano che gli permetterà di fare cassa e consentirà a Fiat di aumentare progressivamente la partecipazione in Chrysler sino a raggiungere il 100% nel 2014, quando sarà approvata la fusione di Fiat con Chrysler in FCA.

Peraltro Sergio Marchionne ha sempre avuto chiaro che gli utili prodotti nella risanata Chrysler dovevano coprire le perdite che gli stabilimenti italiani avrebbero subito ancora per un periodo non breve in attesa del lancio dei nuovi prodotti, come previsto nel suo ultimo Business Plan 2018-2022.

La nascita di Stellantis, la rivoluzione auto elettrica

Come si sa la storia è poi andata diversamente con la costituzione di Stellantis ed una vera e propria rivoluzione in atto nel mondo dell’auto e della mobilità sostenibile. 

Per finire, tra i millanta ricordi personali, mi piace sempre ricordare la prima volta che irruppe nel mio ufficio. Sergio Marchionne era da pochi giorni stato nominato amministratore delegato di Fiat e venne a Mirafiori per incontrare l’allora capo di Fiat Auto, l’austriaco Herbert Demel.

La palazzina uffici di Mirafiori era, anche in ottemperanza alla legge Sirchia, un no building smoking ed il teutonico Herbert Demel aveva invitato cortesemente Sergio Marchionne a non fumare nel suo ufficio.

Terminato l’incontro, volle sapere dove poteva andare a fumare una sigaretta e gli fu indicato, con sadico piacere, di venire da me, essendo io il responsabile dell’applicazione del “divieto di fumo” nel palazzo e primo noto trasgressore.

Entrò nel mio ufficio mentre stavo fumando, si accese una sigaretta e mi chiese, nel tempo dello spirare della sigaretta stessa, cosa pensassi della situazione aziendale.

La solidarietà tra fumatori si materializzò nel corso degli anni. Nelle riunioni, salvo rare eccezioni, eravamo solo noi due a fumare, e per lui è sempre stata una sofferenza partecipare alle riunioni sindacali senza poter accendersi una sigaretta.

Sergio Marchionne era anche consigliere di amministrazione di una nota multinazionale del tabacco ed ogni tanto mi mandava un nuovo pacchetto di sigarette da “provare”: qualche tempo dopo quel pacchetto veniva commercializzato anche da noi.

Da cinque anni ho smesso di fumare.

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