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Sace: export italiano +7,3% nel 2014-2017

RAPPORTO EXPORT SACE – Dopo lo scoppio della crisi la capacità esportativa delle nostre imprese è diventato il discrimine sostanziale per la loro sopravvivenza – L’export italiano, dopo la stagnazione del 2013, è destinato a una crescita forte: nel quadriennio 2014-2017 il tasso medio sarà del 7,3%.

E’ stato presentato oggi a Palazzo Mezzanotte, il nuovo rapporto Export Sace in collaborazione con Borsa Italiana: “Rethink – Evoluzioni e prospettive del nuovo export italiano” che, rileggendo in chiave evolutiva il percorso delle nostra aziende in seguito allo scoppio della crisi, descrive un mercato interno ancora anemico che spinge verso nuove destinazioni da raggiungere e nuove strategie per conquistarle.

In questo contesto la capacità esportativa si è confermato il driver fondamentale di un processo di “selezione naturale” delle nostre imprese.  Il Rapporto di Sace fornisce, poi, le previsioni dettagliate sulle esportazioni italiane per il periodo 2014-2017.

Prospettive del nuovo export: risalita ad ostacoli

L’export italiano torna ad aumentare il passo e, dopo la performance pressoché stagnante nel 2013 (-0,1%), si prepara a mettere a segno un +6,8% nel 2014, accelerando il ritmo fino a raggiungere un valore di circa 539 miliardi di euro nel 2017, con un tasso di crescita media nel quadriennio del 7,3%. Le previsioni di Sace confermano il trend di risalita, relativamente sostenuto, delle nostre vendite all’estero: un cammino che, seppur caratterizzato da discontinuità e da cambiamenti di scenario repentini che hanno reso sempre più arduo il compito di formulare previsioni, ha consentito di recuperare i livelli pre-crisi già nel 2011 ed è destinato a continuare nel medio-lungo termine.

Identikit del nuovo export italiano

Oggi “esportare” non significa più solo vendere oltreconfine, ma conquistare nuove quote di mercato in paesi a maggior potenziale, ben al di fuori del mercato comune europeo. Per competere in quest’arena, la qualità Made in Italy è un punto di partenza importante, ma la chiave di volta per il successo delle imprese del “nuovo export” sta nella capacità di riadattarsi continuamente e di dotarsi di strumenti nuovi, anche finanziari (e spesso alternativi ai canali tradizionali), per sostenere le strategie di sviluppo internazionale. Per questo oggi le imprese più internazionalizzate sono quelle che dimostrano maggiore resistenza alle avversità.

I mercati di riferimento del nuovo export: fuori dall’Europa, verso gli emergenti (e non solo)

Negli ultimi cinque anni il peso dei mercati emergenti sull’export complessivo è aumentato di circa 4 punti percentuali, a fronte di una riduzione simile dell’incidenza degli avanzati: saranno questi mercati a generare le migliori opportunità per le imprese del “nuovo export”. Lo sforzo di investimento che stanno portando avanti, soprattutto nel settore manifatturiero, rappresenta un’ottima occasione per le tecnologie italiane, mentre la crescita della classe media, che continuerà in futuro, alimenterà la domanda dei prodotti del Made in Italy più tradizionale.

La classifica “top market”, stilata da Sace per segnalare i mercati a maggior potenziale di export, include un mix di destinazioni difficilmente etichettabile: da un lato, riflette a pieno la prevalenza dei maggiori mercati emergenti (Cina, Russia, Brasile e Turchia) e l’affermazione di nuove mete meno battute (Indonesia, Messico e Arabia Saudita ed Emirati); dall’altro lato, conferma la rilevanza di mercati avanzati ormai acquisiti quali Stati Uniti e Regno Unito. Fuori classifica, guardando a un orizzonte di medio-lungo termine, meritano una menzione quelli che il Rapporto definisce possibili target di “prossima generazione”: mercati verso i quali il nostro export registra livelli ancora non elevati ma potrebbe trovare ottimi margini in futuro (Filippine, Malesia, Mongolia, Azerbaijan, Qatar, Cile, Colombia, Peru, Panama, Nigeria, Angola, Mozambico).

I settori del nuovo export: al top la “strana coppia” del Made in Italy (beni d’investimento e beni agricoli)
Da un punto di vista settoriale, si segnala l’assestamento di una struttura che aveva già cominciato a definirsi agli inizi degli anni Duemila, portando all’affermazione dei settori del Made in Italy, in cui spiccano, al fianco dei beni d’investimento a medio-alta tecnologica, i prodotti del nostro manifatturiero e – new entry di quest’anno – i beni agroalimentari.

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