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Rivive il Vino dei Borbone, la prima vendemmia del Pallagrello nella Reggia di Caserta

Se ne produrranno 3.000 bottiglie. Recuperati i vitigni dell’antico Pallagrello che Ferdinando IV preferiva ai nobili vini francesi e spagnoli. L’accesso ai vigneti reali era impedito a tutti. La grande intuizione dell’ex direttore della Reggia, Mauro Felicori. Il recupero dopo accurati studi portati avanti da due enologi della Tenuta Fontana. Ripristinata la “vigna dei Re” dietro la cascata del parco

Rivive il Vino dei Borbone, la prima vendemmia del Pallagrello nella Reggia di Caserta

Ferdinando IV di Borbone, il “Re lazzarone” di Napoli e delle Due Sicilie, monarca gaudente che agli obblighi di corte preferiva gli spazi aperti, la caccia, la pesca, cavalcare per le campagne, che amava i piaceri della tavola, e confondersi con i lazzari parlando in stretto dialetto napoletano, ne era grande estimatore e consumatore. Al punto che aveva fatto impiantare 27 moggi di vigna nella Reggia di Caserta e con un editto aveva impedito categoricamente il passo in quel terreno a chiunque non fosse stato espressamente autorizzato.

Il vino che tanto piaceva al Re al punto di essere costantemente presente nei pranzi ufficiali del regno assieme ai più altolocati vini francesi e spagnoli, e di cui si faceva dono ai più illustri ospiti in visita nel reame di Napoli, si chiamava Pallagrello.

Nel dizionario geografico-ragionato del Regno di Napoli, datato 1797, si può leggere, infatti: “I vini di questa contrada sono eccellenti, e sono de’ migliori del Regno così per la loro qualità e natura, come per la grata sensazione che risvegliano al palato. Vanno sotto il nome di Pallarelli e sono stimatissimi nei pranzi”.

Originario della località “Monticello” nel comune di Piedimonte Matese (origine attestata da un’epigrafe ancora apposta in questa località, realizzata per volere di Ferdinando IV, Pallagrello (nel dialetto locale, pallarello significa “rotondetto”, con riferimento agli acini del grappolo, che hanno forma piccola e tonda) è il nome tradizionalmente attribuito a due vitigni (Pallagrello Nero a bacca nera, Pallagrello Bianco a bacca bianca) autoctoni della provincia di Caserta che alcuni farebbero addirittura risalire alla Pilleolata romana.

Le infestazioni di oidio e fillossera dei primi anni del Novecento ne decretarono una ingloriosa fine, Pallagrello rimaneva nella memoria delle cronache e in qualche campo di contadini degradato da vino nobile alla più umile funzione di vino da taglio.

Ma nella reggia vanvitelliana il vino dei Borbone torna da quest’anno a fare la sua comparsa. Tre anni fa, infatti, il Ministero dei Beni Culturali e del Turismo aveva pubblicato un bando per “l’affidamento a titolo oneroso per il ripristino, coltivazione e gestione dell’antica vigna borbonica”. Un’idea a lungo coltivata dall’innovativo ex direttore della Reggia, Mauro Felicori, quello – per intenderci – accusato dai sindacati di lavorare troppo, attento fautore di una politica di valorizzazione storica del territorio attraverso la rinascita e il rinverdimento di un’attività oramai persa nel tempo (nel pieno solco del concetto più moderno di conservazione dei beni culturali), che enologicamente doveva esprimersi attraverso il recupero delle varietà bianche e nero di Pallagrello, per ottenere uve di qualità adatte alla produzione di vino IGT.

Al grande studioso va reso pieno merito dunque se nella Reggia di Caserta un vino riporta ora indietro le lancette della storia riportandoci alle tavole imbandite dei Borbone perché, come amava dire, la Reggia doveva rivivere in tutte le sue funzioni, ritornare a essere una casa vivente.

Il bando è stato vinto, infatti, dall’azienda Tenuta Fontana che ottenne la concessione di un ettaro di terreno coltivato a vite all’interno del Bosco di San Silvestro, un’oasi WWF che fa parte delle “Reali Delizie” annesse alla Reggia di Caserta per ristabilire la coltivazione della antica vigna Borbonica denominata “Vigna di San Silvestro” o “Vigna del Re”

L’azienda in questo ambizioso percorso attento e difficile di rinascita della linea borbonica ha coinvolto due importanti professionisti a livello nazionale, l’enologo Fiorentino Francesco Bartoletti e l’agronomo Livornese Stefano Bartolomei, che hanno utilizzato il metodo di coltivazione biologico in grado di salvaguardare l’ambiente privilegiando la qualità del prodotto.

Il ripristino dell’antica vigna, ubicata nell’Oasi di San Silvestro alle spalle della cascata del Parco della Reggia di Caserta, è partito dallo studio preliminare dei suoli per scegliere il portinnesto più adatto al tipo di terreno ed alle esposizioni presenti, proseguendo con la progettazione e l’esecuzione dei lavori e arrivare infine alla gestione agro-ambientale biologica del vigneto.

Una filosofia che è alla base della attività Tenuta Fontana, un’azienda agricola di produzione, trasformazione e commercializzazione di vini di qualità. “Noi crediamo – sostengono i titolari dell’azienda – che il vino sia il prodotto migliore per far conoscere un territorio e le sue risorse, la storia e la cultura, le tradizioni e i piatti tipici. Che possa aiutare a tutelare e promuovere l’ambiente, insegnare a rispettare la natura. Crediamo che la qualità inizia a essere costruita con il rispetto e la cura della terra e continua nella coltivazione delle uve e nella raccolta e trasformazione dell’uva in vino. Tutto ciò si traduce in eco-sostenibilità, rispetto della tradizione, innovazione.

Quest’anno si terrà dunque la prima vendemmia. “La previsione – spiegano Anna Pina e Antonio Fontana – è di un migliaio di bottiglie prodotte.  Nella migliore delle ipotesi sarebbe già una grande conquista ma il nostro obiettivo principale era far rinascere La Vigna e ci siamo riusciti siamo consci di quanto conti questo traguardo”.

“Della antica Vigna borbonica vedremo e assaporeremo presto i frutti – ha detto il direttore del palazzo reale di Caserta Tiziana Maffei, subentrata a Felicori, che ha portato avanti il progetto con grande entusiasmo, presentando l’iniziativa nella sede della stampa estera. La reggia, nata come massima rappresentazione di prestigio del nuovo Regno di Carlo di Borbone completata dal bosco di San Silvestro, era stata concepita come parte di un articolato sistema produttivo territoriale”.

La Reggia di Caserta che ne 1997 l’UNESCO ha inserito, assieme all’Acquedotto Carolino e al complesso di San Leucio, nella lista di beni italiani Patrimonio dell’Umanità, fu costruita a metà del Settecento per volontà del Re di Napoli Carlo di Borbone che voleva avere a sua disposizione un Palazzo Reale che potesse competere con quelli presenti nelle principali capitale europee. In particolare il re guardava con ammirazione la reggia di Versailles.

Il compito di edificare questo palazzo fu affidato all’architetto italiano Luigi Vanvitelli che però morì prima di terminare il progetto. Carlo Vanvitelli, figlio di Luigi, e altri architetti della sua scuola portarono a conclusione la grandiosa residenza reale che si estende su una superficie di circa 47.000 metri quadrati per un’altezza di 5 piani e presenta una pianta rettangolare. Il parco della reggia, invece, si estende per circa 3km di lunghezza su 120 ettari di superficie.

Le immense terre della Reggia di Caserta non servivano solo a impressionare i tanti visitatori alla corte borbonica, ma anche per la produzione di vari prodotti.

Flora e fauna un tempo offrivano una varietà notevole, tanto da spingere il re a costruirvi una tenuta di caccia. Negli anni la struttura si ampliò con una sezione dedicata alla lavorazione dei formaggi, del miele e, soprattutto, del vino. Ferdinando IV  oltre a dare vita alle seterie di San Leucio realizzò nella reggia di Carditello  il primo allevamento di bufale per rifornire le sue tavole di formaggi pregiati. Con la fine del Regno delle Due Sicilie quelle Reali Delizie vennero abbandonate.

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