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Riforma del lavoro: chi licenzia dovrà restituire gli incentivi

Per superare l’opposizione della sinistra Pd e dei sindacati all’abolizione dell’articolo 18, il Governo pensa d’introdurre un nuovo criterio: ridurre gli incentivi alle aziende che licenziano nella prima fase del contratto a tutele crescenti – Ma il dubbio rimane: cosa accadrà dopo la “prima fase”, che dovrebbe durare tre anni? Le ipotesi sono diverse.

Riforma del lavoro: chi licenzia dovrà restituire gli incentivi

Per rendere appetibile il nuovo contratto a tutele crescenti, cuore del Jobs act, il Governo punta a cancellare l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, che impone il reintegro di chi viene licenziato senza giusta causa. A sua volta, per rendere questo passo digeribile alla sinistra Pd e ai sindacati, l’Esecutivo pensa d’introdurre un nuovo criterio: ridurre gli incentivi alle aziende che licenziano. Sarebbe questa una strada diversa per difendere i lavoratori, non più una vera e propria tutela legale a favore dei dipendenti, ma solo un disincentivo fiscale nei confronti delle imprese. La novità è stata anticipata oggi da Il Corriere della Sera.  

Gli incentivi fiscali in questione sono quelli che il governo pensa d’introdurre proprio sul contrattato a tutele crescenti, per rendere questa forma di rapporto più conveniente e quindi più diffusa rispetto ai contratti a tempo determinato. Si tratterebbe di sconti sul costo del lavoro, rispetto al contratto a termine, che le aziende dovrebbero restituire allo Stato nel caso in cui decidessero di licenziare il dipendente nella prima fase del contratto a tutele crescenti. Sarà decisivo capire l’estensione temporale di questa clausola (si parla di tre anni). 

I contratti a tempo determinato, invece, dovrebbero sopravvivere solo per i lavori effettivamente limitati nel tempo, come gli impieghi stagionali, mentre i co.co.pro e le altre forme di precariato dovrebbero scomparire. 

Quanto all’articolo 18, il suo bacino d’utenza si assottiglierà anno dopo anno, perché il nuovo contratto a tutele crescenti si applicherà solo alle assunzioni successive all’entrata in vigore della legge. Il nuovo sistema prevede che le imprese abbiano l’obbligo di reintegrare i lavoratori solo in caso di licenziamenti discriminatori (religione, razza, idee politiche, orientamento sessuale, iscrizioni ai sindacati e altro ancora), ma nelle cause di lavoro l’onere della prova sarà a carico del lavoratore. In tutti gli altri casi l’azienda potrà licenziare liberamente dietro pagamento di un’indennità economica crescente in rapporto agli anni di servizio (le ipotesi variano da uno a tre mesi di stipendio per anno di lavoro).

A livello politico le polemiche si concentrano su un punto in particolare: cosa accadrà dopo i famosi tre anni di tutela indiretta dei lavoratori attraverso il disincentivo fiscale? Sindacati e sinistra Pd vogliono che torni in vigore l’articolo 18. Ncd chiede che resti in gioco solo l’indennizzo crescente nel tempo. Il resto del Pd si divide fra la strada indicata dalla destra e l’idea di reintrodurre l’articolo 18 solo dopo un certo numero di anni di servizio (6-12-15) o una certa età del lavoratore.

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