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Reshoring, protezionismi e deglobalizzazione: la sfida di chi vuol crescere all’estero

La presidente dell’Enel spiega come cambia il contesto internazionale per le imprese italiane che vogliono crescere all’estero e come si muove un gigante come Enel – Tra investment rating e open innovation – Enel capofila di un centinaio di piccole e medie imprese sui mercati esteri

Reshoring, protezionismi e deglobalizzazione: la sfida di chi vuol crescere all’estero

Nell’attuale contesto, l’export e la crescita all’estero non sono un’opzione: sono un imperativo. Se guardiamo in particolare all’Italia, questo è il percorso da seguire per le aziende che vogliono mantenere o ritrovare la via della prosperità e questa è la strada per il sistema Paese, per dare nuovo stimolo alla crescita economica, ridurre i tassi di disoccupazione, ridare prospettive ai giovani e trovare nuova stabilità.

Nel guardare fuori dai confini nazionali, dobbiamo anche fare i conti con la complessità di un sistema che, negli ultimi anni, è cambiato profondamente. Il fenomeno della globalizzazione, che ha caratterizzato gli ultimi decenni, ha infatti rivoluzionato molte dinamiche competitive, incrementando la rivalità a livello internazionale e riducendo molti vantaggi propri delle logiche tradizionali.

Tuttavia, se il concetto di crescita non può prescindere da quelli di globalizzazione ed internazionalizzazione, è anche vero che oggi il predominio del mercato globale sembra essere messo in dubbio da un nuovo protagonismo dei mercati locali, il cosiddetto fenomeno della deglobalizzazione. Si tratta di un processo che è comune a molti dei Paesi industrializzati.

Del resto, se guardiamo in particolare alla sfera politica e sociale, la globalizzazione dei mercati avvenuta a partire dagli anni Novanta ha portato con sé non solo benefici, ma anche conseguenze che, nel corso degli anni, si sono rivelate meno positive.

Se, ad esempio nelle nuove potenze asiatiche, le classi che maggiormente hanno beneficiato di questo fenomeno sono state quelle medio-basse, nei Paesi tradizionalmente avanzati, il ceto medio è stato particolarmente colpito dagli effetti della crisi, alimentando sentimenti di sfiducia ed incertezza rispetto al futuro e, in alcuni casi, di avversione al processo stesso di globalizzazione .

Un’ulteriore spinta alla deglobalizzazione arriva anche dalla digitalizzazione e dall’accelerazione del progresso tecnologico, che contribuiscono a definire nuove logiche di business.

Se, infatti, la globalizzazione si è sostanzialmente basata sulla delocalizzazione della produzione dove il costo del lavoro era più conveniente, oggi l’evoluzione delle dinamiche competitive sembra lasciare ampi margini alle aziende che puntano sulla differenziazione e che valorizzano i fattori di unicità e qualità dei prodotti. L’innovazione tecnologica sta inoltre spingendo verso la sostituzione di manodopera a scarso valore aggiunto con il lavoro automatizzato, grazie alla diffusione di tecnologie sempre più pervasive, che tendono a ridurre progressivamente la componente di lavoro fisico, favorendo quello ad alta specializzazione ed intensità di conoscenza.

La combinazione dei diversi fattori indicati ha quindi favorito l’avvio di un vero e proprio processo di reshoring, ossia di rimpatrio della attività produttive nel Paese d’origine. Un processo che è già in atto nel nostro Paese, in quanto esso ben si concilia con il sistema industriale italiano, che da sempre si contraddistingue per la sua creatività, qualità e presenza distribuita sul territorio.

Credo che i fattori che abbiamo indicato non stiano conducendo ad un definitivo tramonto della globalizzazione quanto, piuttosto, ad un’evoluzione della stessa. Siamo probabilmente di fronte ad nuovo corso, in cui i tradizionali modelli di produzione e consumo, assumono una dimensione sempre più globale e “delocalizzata” all’origine. In questa logica, la nuova connotazione a-territoriale delle attività di business è destinata a far perder di rilevanza alla stessa contrapposizione tra i concetti di off-shoring e re-shoring.

Specializzazione, flessibilità e agilità sono, e sempre più saranno, le parole d’ordine per competere in maniera vincente nel futuro. In questo contesto, le aziende per essere leader, devono sempre più identificare le future fonti di creazione del valore, innovando prodotti e servizi e mettendo il cliente ed i suoi bisogni al centro delle strategie aziendali.

Enel è una vera azienda multinazionale, con un profilo costruito nel corso degli anni, anche attraverso il processo di internazionalizzazione. Un passaggio quasi obbligato per il business dell’energia che, per sua natura, è tradizionalmente caratterizzato da una forte matrice locale.

La complessità del nostro business, in cui si intrecciano la forte presenza sul territorio, la rilevanza degli investimenti e la definizione dell’orizzonte temporale, rende altrettanto complesso, oltreché rilevante, il processo tramite cui assumiamo le nostre decisioni d’investimento. Pensiamo ad esempio alla rilevanza del contesto regolatorio, al posizionamento geopolitico di un Paese, al rischio in termini di stabilità politica e normativa

Per questo abbiamo definito un processo di valutazione che si basa sull’assegnazione di uno specifico investment rating a ciascun investimento preso in considerazione e che consente di valorizzare anche variabili legate ai profili industriali, di mercato, commerciali, regolatori e di scenario.

Ecco quindi che si capisce ancora meglio perché la variabile “sostenibilità” abbia per noi un significato così rilevante nelle nostre scelte: il nostro è un business in cui è intrinseca la rilevanza della componente del lungo termine.

In un mondo che cambia repentinamente, sappiamo che la ricetta per gestire la complessità è non smettere di innovare: l’unica via per rimanere competitivi è quella di innovare ed innovarsi continuamente. La nostra soluzione risponde al concetto di “open innovation”, ossia l’atteggiamento permeabile dell’azienda nei confronti del mondo che la circonda per approfittare della conoscenza e delle opportunità che possono arrivare da altre aziende, fornitori, università, start up, istituzioni pubbliche o private.

Le grandi aziende multinazionali possono svolgere un ruolo importante nel facilitare lo sviluppo, la crescita e l’internazionalizzazione delle aziende di minori dimensioni, svolgendo un ruolo di azienda capofila rispetto alla filiera, come sta facendo Enel.

Un ruolo che porta con sé anche una grande assunzione di responsabilità: quella di supporto al sistema Paese e di sostegno verso il mondo delle PMI, che probabilmente altrimenti non avrebbero la forza o le competenze per entrare ed affermarsi da sole in certi mercati esteri. L’indotto che ruota intorno ad Enel è composto da aziende che ci supportano, sia come partner che come fornitori. In particolare, oggi lavorano con noi all’estero circa un centinaio di società italiane di piccole e medie dimensioni.

Se l’Italia è storicamente il Paese della piccola e media imprenditoria, la crescita dimensionale delle PMI è sicuramente un elemento vitale per supportare la ripresa e la solidità del tessuto economico e sociale del Paese.

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