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Referendum, perchè i mercati hanno paura

TRATTO DAL BLOG DI ADVISEONLY – Secondo molti analisti finanziari l’Italia è uno dei principali fattori di rischio dei prossimi mesi – Un rischio ancora maggiore se consideriamo la grande massa di titoli di Stato diffusi dal nostro Paese, il 40% dei quali è detenuto da investitori stranieri.

Il referendum costituzionale italiano è diventato rapidamente un caso internazionale. Dopo le parole dell’ambasciatore americano, non passa giorno senza che capiti tra le mani una nota di un analista finanziario che inserisce l’Italia tra i principali fattori di rischio da monitorare.

Pochi giorni fa, su Bloomberg, Christopher Mahon, il capo del team di asset allocation di Baring (275 miliardi di attivi in gestione,ndr),  si è espresso in modo piuttosto eloquente:



Insomma, per alcuni l’Italia è l’anello debole della zona euro e dal momento che le sorti del Governo sembrano legate all’esito del referendum non è poi così irragionevole che gli investitori stranieri siano preoccupati dalle sorti del nostro Paese. Anche perché, nel bene o nel male, l’Italia conta sia a livello politico che a livello finanziario.

Un mercato grande e in mani straniere
Con circa 1.985 miliardi di dollari di debito pubblico, la massa di titoli di Stato italiani è la quinta più grande al mondo, davanti alla Germania e subito dopo Stati Uniti, Giappone, UK e Cina. Quasi il 40% dei titoli di Stato è detenuto da investitori stranieri. Il giorno in cui questi investitori dovessero decidere che il rischio Paese non è più giustificato dal rendimento, potrebbe iniziare una vendita massiccia. Inoltre, se per qualche ragione (giusta o sbagliata che sia) le agenzie di rating decidessero di declassare il nostro Paese (attualmente un gradino, o “notch”, sopra il livello spazzatura), allora diversi investitori istituzionali (come i fondi pensione) potrebbero essere costretti a liquidare le loro posizioni, aumentando la pressione sui titoli di Stato. 

“Mamma BCE”
Fino ad ora, la BCE è riuscita a schermare i Paesi europei dal rischio politico, ma un’eventuale fase di shock sui tassi d’interesse peserebbe sia sulla fragile crescita che sulla dinamica del debito, in più metterebbe sotto pressione il già precario bilancio delle banche italiane. Stando ai calcoli di Deutsche Bank, un aumento di 50 punti base sui tassi d’interesse ridurrebbe in media la solidità patrimoniale misurata dal CET 1 di 29 punti base.

Niente complotto?
Quando si chiedono soldi in prestito è normale che i creditori monitorino le condizioni di salute dei debitori, e dal momento che il nostro Paese cresce a singhiozzo da diversi anni è ragionevole che qualsiasi investitore si chieda cosa possa succedere in caso di un’eventuale crisi politica. La tanto amata teoria del “complotto” non è l’unica motivazione per cui l’Italia può tornare sotto i riflettori dei mercati finanziari.

L’Europa ha sicuramente la forza necessaria per “proteggere” l’Italia in caso di bisogno: la BCE già acquista oltre il doppio delle emissioni nette della zona euro, garantendo un buon sostegno alla domanda di titoli di Stato e di Corporate bond in euro. Senza dimenticare la potenza di fuoco del Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM), pari a circa 372 miliardi di euro (3,6 del PIL della zona euro).

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