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Recovery Fund, quali riforme per l’innovazione?

Il Recovery Fund richiede radicali riforme per concedere i fondi promessi ma quali siano quelle immaginate dal Governo per l’innovazione nessuno lo sa – Anche perchè una politica per l’innovazione senza affrontare la riforma della burocrazia ministeriale e sindacale è puro vaniloquio

Recovery Fund, quali riforme per l’innovazione?

Usi a vestire con le parole il nulla, ma incapaci di uscire dal surreale dibattito Mes si o Mes no, e pronti invece ad accapigliarsi in una partita verbale a rubamazzo, sullo spendere i fondi attesi dal Next Generation UE (NGUE), si trascura il “come” ottenerli con le radicali riforme richieste dallo stesso NGUE. Ad esempio, la mai quantificata promessa e fondamentale politica del governo italiano per l’innovazione, la ricerca scientifica e la digitalizzazione per il rilancio dell’economia italiana, non pare tenere conto dei vincoli finanziari posti nel NGEU (p. 16 Parte II, Le spese), ove si indicano l’ammontare dei fondi disponibili per i diversi progetti nazionali (a prezzi 2018), per gli anni 2021 2027.

Cioè circa 19 miliardi di euro per ogni anno considerato. Quali riforme intendono proporre i nostri garruli ministri capeggiati dall’altrettanto garrulo presidente Conte, per ottenere i fondi per l’innovazione? Sfugge al momento nel dibattito solo verbale, la più che imprescindibile connessione tra riforma della pubblica amministrazione e la politica per l’innovazione e per la ricerca scientifica e l’Università. Quest’ultima per ora è stata espunta da ogni considerazione, forse in omaggio alla permanente e pervicace autolegittimazione della casta grillina (ma anticasta altrui) sempre anti meritocratica, “uno vale uno”. 

Sono parole che vestono il nulla quelle che propongono la politica per l’innovazione senza affrontare la riforma della burocrazia ministeriale e sindacale che nei decenni hanno sempre avvilito e condizionato negativamente la vita di ricerca e di didattica delle Università italiane, con palese violazione della costituzione italiana che sancisce che (art.33), “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi”. Ne dovrebbe conseguire che  al governo non potrebbe essere consentito di emettere circolari per governare e condizionare la vita degli atenei.

A questi dovrebbe essere garantita, entro le sole leggi, ogni autonomia statutaria per la propria organizzazione scientifica e didattica, favorendo ogni auspicata competizione tra le diverse sedi accademiche che ne rifletta il merito scientifico e didattico di ogni ateneo nei confronti degli altri. E’ il presupposto per il rispetto dell’altro fondamentale articolo 97 della Costituzione per cui anche nel caso degli atenei italiani si accede per concorso pubblico e si progredisce nella carriera solo e soltanto per concorso pubblico. Si tratta delle più ovvie regole che possono favorire la futura selezione meritocratica della classe dirigente pubblica e privata.  

Il NGUE richiede riforme per ottenere i fondi. Avrà il coraggio il garrulo presidente Conte che per rilanciare durevolmente l’economia italiana e farla uscire dalla stagnazione secolare occorre riconoscere alle scuole di ogni ordine e grado la necessaria autonomia per perseguire l’abitudine alla più efficace preparazione meritocratica in vista della selezione delle future classi dirigenti politiche, pubbliche o private che siano? 

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