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Pir: in 6 mesi hanno spinto l’Aim verso rialzi stellari. Ecco come

L’arrivo dei Piani individuali di investimento ha spinto le quotazioni del segmento di Borsa dedicato alle piccole e medie imprese che è cresciuto del 29,22% da dicembre 2016 ad oggi: quasi il triplo del Ftse Mib. Benefici anche per lo Star e il Mid Cap e per le stesse Blue Chip profittevoli e ad alto dividendo. Il prossimo passo dovrà essere l’ampliamento dell’offerta dei nuovi strumenti.

Pir: in 6 mesi hanno spinto l’Aim verso rialzi stellari. Ecco come

A passo di corsa, anche a costo di contraddire il numero. Il Gambero Rosso sul listino Aim, l’”alternative Market” di Piazza Affari dedicato alle piccole e medie imprese, ha messo a segno giovedì un nuovo rialzo a doppia cifra, il 10% tondo, consolidando un rialzo stellare: +239,40% in sei mesi. Ma non si tratta di una performance isolata. Per limitarci a giovedì, alle 12 cinque titoli del mercato più free (o meno regolato, se preferite) della Borsa italiana decollato a fatica il 1° marzo di cinque anni fa, registravano rialzi a doppia cifra. Tra questi Gala +14,72%, il quarto fornitore di energia elettrica, il gruppo Giglio, piccolo gigante internazionale nell’e-commerce attivo anche in Cina, +11,39% ( +75% da gennaio). E ancora Mc-Link +12,42% (ma +150% nel 2017) nata nel 1986 come rivista informatica, oggi grande fornitore di servizi digitali innovativi. Infine WM Capital +16,33%, società specializzata nel fornire servizi di franchising. Tanta euforia che si ripete, a tassi accelerati, ormai da tempo. Martedì scorso, ad esempio, sono stati sette i titoli che hanno registrato rialzi a doppia cifra.

Il fenomeno ha prodotto una “fuga” in avanti di un listino fino a ieri snobbato in termini di volumi e di prezzi. L’indice Aim segna un rialzo del 29,22% rispetto alla fine del 2016, in netto vantaggio sul paniere principe della Borsa italiana , l’Ftse Mib che sale del 10,44%. Ma fa ancora meglio lo Star, il listino delle piccole e medie società di Piazza Affari che accettano requisiti più severi a garanzia degli investitori. L’indice, non a caso il più seguito dagli investitori internazionali, avanza del 32,59% rispetto ad inizio anno.

A che si deve questo rally? La spiegazione sta in tre lettere: P-i-r, che sta per Piani Individuali di Risparmio, la nuova formula di investimento che ha provocato una rivoluzione nella gestione del risparmio paragonabile a quella del 1984, quando nel Bel Paese vennero introdotti i fondi comuni di investimento. L’appeal per il nuovo prodotto si spiega con la disciplina fiscale, adatta a favorire il risparmio di lunga durata.  Il Pir, infatti, può essere definito un “contenitore fiscale” riservato ai risparmiatori individuali e ai fondi pensione/casse previdenziali. Ai loro investimenti verrà riservata l’esenzione da tassazione dei redditi derivanti dagli investimenti effettuati nel PIR. Un grande vantaggio rispetto alle altre forme di investimento cui si aggiunge l’esenzione dall’imposta sulle successioni e sulle donazioni. A fronte di questi vantaggi i sottoscrittori devono rispettare alcuni requisiti: 1) l’investimento deve durare almeno cinque anni. 2) non si può superare i 30.000 euro all’anno per persona fisica entro un limite complessivo di 150.000 euro in 5 anni.

Fin qui le caratteristiche di un prodotto che ha avuto un lungo rodaggio in altri Paesi. Il primo provvedimento di questo tipo è stato adottato dagli Stati Uniti nel 1974. Dopo è arrivata la Francia che  ha varato, con grande successo,  i  Plans d’Epargne en Actions (PEA) nel 1992 cui ha fatto seguito nel 1999  nel Regno Unito l’introduzione degli  Individual Savings Accounts (ISAS). Ma l’esempio che ci riguarda più da vicino è probabilmente l’adozione di un meccanismo simile da parte di Shinzo Abe nel 2014 in Giappone, Paese che ha problematiche molto simili all’Italia in materia di risparmio e di investimenti.

Ma il legislatore italiano ha introdotto una novità strategica: almeno il 70% va investito in strumenti finanziari emessi da società italiane ed estere (UE e SEE) con stabile organizzazione in Italia , un vincolo molto forte che, secondo Intermonte Sim , uno dei principali broker indipendenti italiani,  “rende estremamente difficile l’investimento al di fuori di strumenti finanziari italiani”.

Non solo. Di questo 70% almeno il 30% (pari al 21% del valore complessivo degli investimenti del PIR) deve essere investito in strumenti finanziari emessi da società italiane ed estere (UE e SEE) con stabile organizzazione in Italia diverse dai listini più grandi, tipo l’Ftse Mib o altri indici equivalenti (Dax, Cac 40, bex 35 o Ftse 100). Una parte della raccolta, perciò, può comunque essere investita in blue chips italiane, come dimostra il favore raccolto da società dalla profittabilità prevedibile e ad alto dividendo (vedi Enel, +19,32% negli ultimi sei mesi), con rilevanti virtù anticicliche.

 Ma, soprattutto, l’introduzione dei PIR ha coinciso con il decollo dell’interesse per l’universo delle piccole e medie imprese, spesso snobbato dai grandi operatori, compresi le corazzate del risparmio gestito che fino a ieri hanno dedicato ben poca attenzione ad un segmento di mercato troppo sottile. “Da quando sono stati introdotti i Pir, nel gennaio 2017- ha spiegato Anna Lambiase, amministratore delegato di IR Top Consulting abbiamo assistito a un raddoppio dei volumi sull’Aim, passati da una media giornaliera di 35 mila a più di 67 mila euro”. Ma le stime di Ir Top (1,25 miliardi nell’Aim da parte dei Pir nei prossimi 5 anni) rischiano di essere ampiamente superate dalla realtà.  Per il 2018, l’ufficio il dipartimento del ministero dell’Economia prevede che i piani individuali di risparmio arrivino a 180 mila per un conferimento totale di 4,5 miliardi di euro. E via così fino al 2021, quando i Pir dovrebbero arrivare a un numero intorno alle 360 mila unità per un conferimento totale che si dovrebbe aggirare sui 18 miliardi di euro.

Questi volumi di risorse ovviamente non andranno sul solo segmento Aim, ma sono compatibili con i requisiti dei Pir anche lo Star e il Mid cap, dove l’aumento si sta già facendo sentire in misura importante. Secondo gli specialisti di Eurizon, le compagnie di media capitalizzazione dall’introduzione dei Pir hanno quasi triplicato le performance delle blue chip. Il fenomeno riguarda anche i fondi, compresi gli Etf. L’esempio più lampante del beneficio derivante dall’arrivo dei Pir sul mercato italiano è testimoniato dall’andamento dell’Etf Lyxor Ftse Italia Mid Cap Ucits, l’unico che intrinsecamente era «Pir compliant» prima che i piani di risparmio arrivassero in Italia (gli Isa, individual saving account esistono nel regno Unito dal 1999). Questo prodotto, nonostante sia in essere da tre anni e abbia avuto andamento altalenante, negli ultimi sei mesi ha registrato una crescita di valore di circa il 29%.

La riforma, dunque, funziona. Forse troppo. Per evitare l’effetto bolla o altri abusi a danno del sistema e dei sottoscrittori è necessario l’aumento, in quantità ed in qualità, dell’offerta. Così come per difendere i risparmi è necessario fare attenzione al livello delle commissioni. Ci sono quelle legate alla sottoscrizione, alla performance, agli eventuali costi di tenuta conto, più quelli di negoziazione. Se non si sta attenti, insomma, il giocattolo si può rompere. E sarebbe un peccato, vista l’opportunità unica per ridurre la dipendenza del sistema imprenditoriale dalle banche.

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