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Paradosso Manchester United: male sul campo, bene in Borsa. Ecco perché

I Red Devils vanno male in campionato e stasera rischiano di essere eliminati dalla Champions agli ottavi, eppure sono protagonisti sui mercati finanziari: a Wall Street da inizio anno il titolo ha guadagnato il 10%, nonostante la peggiore stagione sportiva degli ultimi 20 anni – Ecco i segreti del successo.

Paradosso Manchester United: male sul campo, bene in Borsa. Ecco perché

Il Manchester United ha appena perso 0-3 in casa dal Liverpool, è a -18 dalla vetta (e a -12 dal quarto posto) in campionato, e stasera rischia di uscire agli ottavi di Champions League. Eppure il titolo dei Red Devils, quotato alla Borsa di Wall Street dall’estate 2012, ha guadagnato circa il 10% da inizio anno. Proprio nel momento peggiore della storia sportiva del prestigioso club calcistico inglese, i suoi affari vanno a gonfie vele. Dov’è il trucco?

Fermo restando che il valore dell’azione ha comunque perso il 12% da quando sulla panchina siede il traballante David Moyes e non più il leggendario Sir Alex Ferguson, il trucco non c’è. Per un semplice motivo: da quando la società è in mano alla famiglia statunitense Glazer, ha scelto una vocazione finanziaria, o comunque ha nettamente separato l’attività finanziaria da quella sportiva.

E dunque, in attesa che sul rettangolo verde le cose tornino ad andare come qualche tempo fa (il Manchester è comunque, tuttora, campione d’Inghilterra in carica), non c’è da sorprendersi che sul versante del business tutto possa andare a gonfie vele, mentre spesso in giro per l’Europa accade l’esatto contrario: squadre vincenti, come ad esempio la stessa Juventus, che però sui mercati fanno flop.

A spiegare il fenomeno basta un dato, che testimonia quanto lo United abbia saputo diversificare gli introiti, facendo così gola agli investitori a prescindere dai risultati: mentre quasi tutte le squadre pendono dalle labbra (e dai soldi) delle televisioni, dalle parti dell’Old Traffort i diritti tv – che comunque Oltremanica sono cresciuti del 70% lo scorso agosto – pesano solo per il 28% del fatturato. Il resto lo assicurano, tramite il merchandising, gli 800 milioni di fan sparsi nel mondo, e ancora il nuovo contratto di sponsorizzazione tecnica con la Nike che è passato da 28 a 71 milioni di euro all’anno. Di che compensare tranquillamente un’eventuale non qualificazione alla prossima Champions, con l’intatta possibilità di intervenire energicamente nella prossima sessione di mercato.

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