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Nuova vita per Tim: Brasile, rete unica e il risiko riparte

La mossa in Brasile per l’acquisto di Oi e la spinta del governo per un’intesa sulla fibra ottica riaccendono l’interesse sulla partita del secolo. Ancora spazi per l’avanzata dello Stato?

Nuova vita per Tim: Brasile, rete unica e il risiko riparte

Nuova vita per Tim? Sembra suggerirlo l’ultimo spot istituzionale del gruppo che ripercorre la storia del gruppo, votato fin dall’esordio alla missione di connettere il Paese. Fin dalle origini, anno 1925, quando l’Italia venne divisa in cinque zone presto governate dal nascente Iri perché i privati, senatore Agnelli in testa, si rifiutarono di prendere il controllo senza un congruo contributo dello Stato, facendo imbestialire Benito Mussolini. Da allora, passando dalla stagione delle privatizzazioni fino ai capitani coraggiosi, il difficile rapporto con lo Stato padrone e/o regolatore è stato uno dei dati più eloquenti e rilevatori degli equilibri tra pubblico e privato nel Belpaese.

La questione, esaurita la sfida su Autostrade, sembra tornata d’attualità anche se il titolo Tim, dopo la fiammata di ieri, oggi vivacchia in ribasso  dello 0,8% sotto a 0,39 euro, in rosso del 30% rispetto ad inizio anno. Lo sprint di giovedì, in realtà, ha un’origine esotica: Tim ha ripreso infatti  la trattativa per l’acquisto della brasiliana Oì, occasione per raddoppiare la taglia sul mercato sudamericano, in piena evoluzione nonostante le turbolenze da Coronavirus. Basti dire che il Bovespa, il listino carioca, avanza dai minimi di marzo di un formidabile +65%, mentre la performance dal primo gennaio resta tra le più pesanti del mondo, -35%.  Un clima sfidante, insomma, ma che può rappresentare una buona occasione: Tim Participaçoes ha così ingaggiato Ubs per trovare un partner per condividere gli investimenti necessari per espandere la rete.

Anche nel Belpaese, il problema chiave è il finanziamento degli investimenti necessari per adeguare l’offerta alla fame di connettività del sistema economica, nonché di garantire la sicurezza a  fronte dei tanti appetiti, non solo economici, suscitati dal 5G.

In questa cornice s’inquadra la partita aperta dalle bordate di Beppe Grillo, che ha aperto la contesa invocando il  ritorno di Tim nella sfera pubblica, magari tramite l’assorbimento di Open Fiber (“esperienza finita” per il comico più potente della storia italiana). Una proposta arrivata in un momento cruciale per il sistema, alle prese con le enormi esigenze di finanziamento del 5G, e con le attenzioni dei grandi investitori internazionali, da KKR  all’australiana Macquarie, protagonista anche nel dossier Autostrade per l’Italia. Nonché dei soci attuali primo fra tutti, in pole position, Cdp presente anche nel capitale della rivale-cugina Open Fiber, al 50% in mano di Enel. Entro fine luglio, secondo l’invito del ministro Roberto Gualtieri, la sfida potrebbe arrivare ad una svolta: Enel e Tim dovrebbero arrivare ad un’intesa preliminare per la creazione di una rete broadband unica. Cdp da un lato, andrebbe a rilevare il 100% di Open Fiber e dall’altro si prenderebbe una quota nella Newco Fiber Cop.  Attori interessati ad entrare nell’operazione sono anche KKR, Macquarie e Wren House, interessati a rilevare la maggioranza o parte consistentedella quota di Enel.

Insomma, come ha rilevato Equira Sim, nonostante la lunga striscia di discussioni finite nel vuoto nel passato, stavolta la prospettiva della rete unica sembra fattibile anche se non sarà facile raggiungere un ‘intesa sulla governance. Anche se Franco Bernabé, uno dei grandi protagonisti del romanzo delle tlc italiane, lancia un monito: anche se fossero sotto la stessa proprietà, le due infrastrutture di Tim e Open Fiber sarebbero destinate a rimanere separate, dice il manager, perché sono entrambe complete, dal backbone in avanti, ma realizzate con tipologia e architettura differenti, e non sono perciò integrabili. 

Bernabè si è anche detto contrario alla newco, che sarebbe fuori tempo rispetto a quando, qualche anno fa, si aprì il tema dello scorporo della rete Tim. Pur mettendo insieme le infrastrutture di Tim e Open Fiber “non si arriverebbe a una rete unica perché di reti in Italia ce ne sono altre”, e resterebbero poi il nodo antitrust e quello del “destino” di una Tim senza rete. Senza dimenticare il tema delle aree grigie, né così depresse da giustificare l’intervento dello Stato, né così concorrenziali da spingere gli investimenti privati: al proposito una società comune  potrebbe essere il terreno ideale di incontro tra i contendenti. E la premessa di buoni affari per l’ex incumbent.

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