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NICOLA ROSSI: “Per tornare a crescere non serve aumentare la spesa pubblica”

PARLA NICOLA ROSSI, economista e già senatore del Pd – “Non è aumentando la spesa pubblica che l’Italia può rilanciare la domanda interna e la crescita: se facessimo così, i mercati non ci seguirebbero – Più flessibilità se si cede sovranità – Le riforme si possono fare anche quando c’è la crisi ma il rischio è di sbagliarle o di farle su aspetti marginali”

NICOLA ROSSI: “Per tornare a crescere non serve aumentare la spesa pubblica”

Per tornare a crescere non serve aumentare la spesa pubblica. L’Italia è l’esempio lampante che con la spesa pubblica in deficit non si cresce, basta fare un giro per le regioni del Sud. Verso l’Europa teniamo un atteggiamento di lamentazione quando in maniera infantile invochiamo ” flessibilità”. Soprattutto continuiamo ad affrontare le riforme in modo parziale e di conseguenza a fronte di sforzi erculei e quindi di un forte stress nelle istituzioni e nella società, non otteniamo risultati tangibili. Il prof Nicola Rossi, ex senatore del PD poi passato al Gruppo Misto, guarda con grande preoccupazione all’evoluzione della situazione economica italiana. Non vede nell’impostazione concettuale del dibattito italiano e nell’azione concreta del Governo motivi di ottimismo.

“Il Governo – dice – sta dando una lettura debole della situazione dell’economia, delle cause profonde della persistente stagnazione e delle azioni necessarie per uscirne. Molti intellettuali e politici si lanciano in iniziative anche referendarie contro il fiscal compact come se la spesa pubblica fosse la soluzione e non parte del problema.”

Secondo molti economisti il problema della nostra economia è la carenza di domanda. Quindi bisogna spendere più soldi pubblici superando i rigidi parametri imposti da Bruxelles.

“Questa affermazione – dice il prof Rossi – può avere un senso se riferita all’intera Europa dove ci sono paesi, o istituzioni comunitarie, che avrebbero spazi per accelerare gli investimenti, ma a livello di un singolo paese è del tutto irragionevole. Se l’Italia, ad esempio, annunciasse una politica del genere i mercati non ci seguirebbero e sarebbe più difficile collocare i titoli del tesoro. Alla fine non ci sarebbero benefici sul tasso di crescita dell’economia.”

Però tutti dicono che la sola politica di austerità provoca recessione e quindi rende più difficile controllare deficit e debito dei singoli Stati.

“Ma la soluzione non è quella di chiedere flessibilità per guadagnare tempo senza far nulla per affrontare i nodi di fondo dell’economia. I tedeschi non si fidano di paesi come Francia ed Italia, che troppe volte hanno invocato sostegni e poi hanno rinviato ogni cambiamento capace di far riguadagnare ai propri sistemi competitività. La strada per avere sostegni è quella di cedere sovranità. Ma noi siamo disposti a farlo?”

Renzi si è impegnato ad attuare in tempi rapidi un vasto programma di riforme sia delle istituzioni che del mercato dell’economia. Ed in effetti ha messo molta carne al fuoco.

“Sì in questa fase – afferma il prof Rossi – non corriamo il rischio di non fare nulla come spesso è successo in passato, ma di fare delle cose sbagliate o inadeguate. Ad esempio credo sia fondamentale affrontare il tema del mercato del lavoro e dell’art 18, ma temo che a furia di mediazioni alla fine si arrivi ad una soluzione che, come avvenne per la Fornero, si modifica la legge senza cambiare nulla nella sostanza. Così mi sembra che per riforme come quelle della PA e della Giustizia ci si fermi ad alcuni elementi di facciata, come la riduzione dei permessi sindacali per i pubblici dipendenti, o il taglio delle ferie per i Giudici, senza entrare veramente nella cura dei mali di queste due istituzioni che hanno un peso determinante nel costringere la nostra economia a strisciare sul fondo. Ci si rende conto in che stato è la nostra pubblica amministrazione e quale totale rivoluzione sarebbe necessaria per renderla efficiente? Se si dice che i cambiamenti si devono fare con il consenso dei lavoratori del settore pubblico, allora stiamo freschi!”

Ma certe riforme fondamentali si posso fare anche i tempi di crisi? non si rischia di aggravare le paure della gente? Non sarebbe meglio aspettare tempi migliori?

“Questa è la solita scusa per non fare. Le riforme si possono fare anche quando c’è la crisi. Se si fanno bene , cioè in maniera incisiva, il ritorno della fiducia della pubblica opinione potrebbe innescare una spirale positiva.”

Noi siamo in crisi da sette anni. Politici ed economisti spesso danno l’impressione di aver smarrito il bandolo della matassa. Cioè non sanno da dove cominciare.

“Per questo non ci si può fermare alla superficie dei problemi ma bisogna dare una lettura più profonda della fase economica che stiamo vivendo. Il Governo non sembra accorgersi che oggi qualsiasi iniziativa volta a dare soldi agli attori del mercato, famiglie ed imprese, viene vanificata da due idrovore che succhiano tutta la liquidità: le banche ed il fisco. Come si è visto per gli oltre 30 miliardi dei crediti delle imprese verso lo Stato, o in parte per gli 80 euro, queste disponibilità sono state drenate dalle banche che hanno approfittato per ridurre i loro attivi, mentre le incertezze sul fisco hanno indotto le famiglie alla prudenza. Se non si pone riparo a queste due grosse falle la vasca non si riempirà mai.”

E quindi da dove partire?

“In primo luogo dobbiamo avviare una seria politica per ridurre l’intermediazione bancaria del credito verso le imprese. Oggi in Italia l’80% del fabbisogno delle aziende è fornito dalle banche. E bisogna scendere di molti punti. Si sono fatti i mini-bond ma poi si è trascurato di incentivare la creazione di fondi di debito al di fuori dei canali bancari e quindi questo nuovo strumento stenta a decollare. Poi ovviamente bisogna fare riforme vere non solo per ridurre le spesa dello Stato e degli Enti locali, ma anche per rendere efficiente ed efficace la macchia pubblica. E bisogna farlo in fretta, perché il resto del mondo si è mosso creando in alcuni casi una situazione di eccesso di liquidità e di spasmodica ricerca di rendimenti più elevati (spesso trascurando il grado di rischio), simile a quella del 2007. Certo oggi siamo più preparati a fronteggiare eventuali bolle, ma comunque se dovesse manifestarsi qualche turbolenza sui mercati finanziari, a soffrire di più sarebbero i paesi più deboli, come appunto l’Italia. E del resto questa condizione è quella che abbiamo già sperimentato nel 2009, con una caduta del nostro Pil molto più elevata rispetto alla media europea.”

Il prof Nicola Rossi non nasconde la sua profonda preoccupazione per una situazione che non riusciamo ancora a capire a fondo: o si cerca un facile ed illusorio rifugio verso la spesa pubblica, o si varano provvedimenti che innalzano la bandiera delle riforme, ma che poi in concreto rischiano di modificare aspetti marginali del sistema senza quindi fornire quella carica innovativa che sarebbe necessaria. Poi ci sono alcuni problemi che proprio non si vogliono affrontare come la questione bancaria, anche se senza credito nessuna ripresa sarà possibile. Ma se si lascia degenerare ancora la situazione dell’economia le conseguenze politiche non solo in Italia ma anche il Europa possono essere catastrofiche. Si pensi all’avanzata dei nazionalismi non solo in Francia, ma in tutti i paesi del Vecchio Continente, Inghilterra compresa.

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