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Mps, l’arbitrio della Commissione Europea complica il piano di sostegno

L’arbitraria interpretazione della Commissione Europea sugli aiuti di Stato, resi possibili in via straordinaria per le perturbazioni introdotte da Brexit, sta complicando il piano di sostegno a condizioni di mercato per il Monte dei Paschi a cui sta lavorando il Governo – Ecco i rischi che si corrono

Mps, l’arbitrio della Commissione Europea complica il piano di sostegno

Le difficoltà che il governo sta affrontando nel delineare un provvedimento di sostegno al Monte dei Paschi di Siena che soddisfi le richieste della Commissione Europea riflettono i problemi di intersezione tra normative, esistenti e nuove, posti dall’ introduzione della nuova legislazione europea in materia di crisi bancari.  Problemi che danno luogo ad incertezze interpretative di cui l’Italia rischia di fare le spese. Ciò vale in particolare per quanto riguarda la relazione tra le nuove norme sulla risoluzione delle banche in crisi e la normativa sugli aiuti di stato, di cui la Commissione appare dare un’interpretazione arbitrariamente estensiva.

Il problema si è già posto in relazione agli interventi dei Fondi di Garanzia dei Depositi, e riguarda la possibilità per questi istituti di intervenire a supporto di banche in difficoltà, al fine di evitare l’avvio del processo di “risoluzione”. La direttiva di armonizzazione del funzionamento dei Fondi di garanzia dei depositi (la direttiva SGD), del 2014 e quindi coeva alla direttiva “resolution”,  prevede infatti la possibilità di tali interventi.

La Commissione Europea interpreta tuttavia gli interventi di questi fondi come utilizzo di risorse pubbliche guidate dallo stato e quindi come aiuti di stato: e richiede quindi che siano accompagnate da una significativa partecipazione dei privati all’aggiustamento. Ma le conseguenze dell’atteggiamento della Commissione sono anche più ampie: la direttiva resolution subordina infatti la erogazione di aiuti di stato a una banca all’avvio di un processo di risoluzione e quindi al bail-in dei creditori: di fatto l’impostazione della Commissione ha vanificato le previsioni della normativa SGD.

Questo risultato è curioso e preoccupante: curioso, perché l’impostazione della Commissione rappresenta un’ interpretazione discrezionale di un’Autorità amministrativa, le cui valutazioni, anche quando incorporate in Comunicazioni, non hanno il valore di una legge europea, come ha ben notato l’Avvocato Whal della Corte di Giustizia Europea, in relazione alla previsione del burden sharing contenuta nella Comunicazione sugli aiuti di Stato del 2013; gli Stati membri non sono vincolati da questa previsione nell’impostare piani di aiuti. Preoccupante, perché questa impostazione dell’Autorità amministrativa sta bloccando possibilità offerte dalle norme di intervenire in maniera non traumatica, quando di traumi non vi sarebbe bisogno.

La questione si ripropone ora con drammaticità riguardo il piano di sostegno al Monte dei Paschi di Siena a cui sta lavorando il Governo. E’ bene chiarire che, nonostante i retaggi del passato,  MPS non è in dissesto. La banca è stata sottoposta a un processo di ristrutturazione durante il quale gli azionisti  hanno già perso quasi tutto il proprio investimento: le azioni che nel maggio 2015 quotavano oltre 9 euro ora si aggirano sotto i trenta centesimi.

Tuttavia nell’ultimo anno ha molto migliorato la propria posizione patrimoniale: i coefficienti patrimoniali soddisfano i coefficienti di Basilea 3. Il piano di smaltimento dei crediti, in discussione con la BCE, richiede però un aumento di capitale dell’ordine di 2 miliardi di Euro. E l’attuazione di un tale aumento senza una qualche forma di intervento pubblico appare assai problematico, in un momento in cui il settore bancario in tutta Europa sta soffrendo, a  seguito delle incertezze del quadro macroeconomico e dello shock del dopo-Brexit.

In principio le norme europee consentirebbero un margine di flessibilità al riguardo: la direttiva Resolution, all’art. 32. 4, lettera d precisa che se la banca non è in dissesto è consentito, senza attivare una procedura di risoluzione,  un intervento pubblico straordinario, “al fine di evitare o rimediare a una grave perturbazione dell’economia di uno Stato membro e preservare la stabilità finanziaria”.

In particolare, questo intervento può prendere la forma di “un’iniezione di fondi propri o l’acquisto di strumenti di capitale a prezzi e condizioni che non conferiscono un vantaggio all’ente.” Le perturbazioni susseguenti alla Brexit, dovunque e particolarmente in Italia, dovrebbero consentire di definire la situazione come di “grave perturbazione” e rischio per la stabilità finanziaria.

Un intervento senza risoluzione e senza conseguente bail-in è quindi consentito dalla pur arcigna direttiva. Il punto sono quindi i prezzi e le condizioni, che devono essere quelle di mercato, tanto per un aumento di capitale che per un’emissione di obbligazioni convertibili. La interpretazione dell’intervento come non arrecante vantaggio, e quindi di mercato, sarebbe rafforzata se soggetti privati (altre banche, assicurazioni etc) partecipassero alla sottoscrizione e se l’intervento dello stato fosse dichiaratamente temporaneo, per sottolinearne la straordinarietà.

Tuttavia, anche in questo caso una soluzione incruenta sembra impedita dall’intersezione con l’interpretazione della Commissione: la quale ritiene che in ogni caso anche un intervento a condizioni di mercato debba essere sottoposto al suo placet; e ciò nonostante in questo caso non vi possa essere aiuto: perché vi possa essere aiuto di stato la condizione non è solo che le risorse siano pubbliche, ma che l’intervento sia selettivo, cioè dia luogo a un vantaggio per chi lo riceve: ipotesi che è esplicitamente esclusa se le condizioni sono quelle di mercato.

In sostanza, la pretesa della Commissione di sindacare un intervento ai sensi dell’art. 32 appare arbitraria perché non vi sarebbe aiuto in un intervento pubblico a condizioni di mercato. Di più, non vi sarebbe neanche competenza della Commissione a compiere una valutazione in questo senso, poiché eventualmente dovrebbe essere interessata l’Autorità di risoluzione. Il Governo fa quindi bene a resistere.

Certo, la Commissione ha il coltello dalla parte del manico: l’unica soluzione sarebbe effettuare l’intervento e poi impugnare per direttissima l’eventuale iniziativa della Commissione davanti alla Corte di Giustizia, che chiarisca i limiti dell’interpretazione e dei poteri della Commissione. Una strada rischiosa. L’alternativa però è che un intervento condizionato al burden sharing, come implicato dalla prassi interpretativa della Commissione riguardo gli aiuti, in una banca maggiore e sistemica come l’MPS abbia conseguenze imprevedibili. Un po’ come Brexit.

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