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Medie imprese: fatturato 2023 visto ancora in crescita del 3,5% dopo un biennio stellare

Secondo il XXII Rapporto messo a punto da Area Studi Mediobanca, Unioncamere e dal Centro Studi Tagliacarne le chiavi del successo delle medie imprese di concentrano su tre punti: capitale umano, digitalizzazione e green

Medie imprese: fatturato 2023 visto ancora in crescita del 3,5% dopo un biennio stellare

Le medie imprese prevedono una crescita del fatturato del 3,5% nel 2013 dopo l’eccezionale +15% del 2022 e un +20,4% del 2021, grazie a un modello dinamico e più resiliente rispetto alle grandi imprese nei periodi di crisi, nel quale il Capitale Umano viene visto come un elemento chiave. L’attenzione ai temi ESG rappresenta una leva competitiva capace di garantire performance migliori (+61% l’EBIT margin). Mentre per trattenere i talenti, un’impresa su due punta sugli incrementi salariali.

Lo dice il XXII Rapporto sullo stato di salute delle medie imprese industriali italiane messo a fuoco dall’Area Studi Mediobanca, Unioncamere e dal Centro Studi Tagliacarne presentato oggi a Milano. Si tratta di un panorama su 3.660 imprese manifatturiere a controllo familiare italiano con fatturato compreso tra 17 e 370 milioni di euro e una forza lavoro tra i 50 e i 499 addetti. Un ecosistema che nel 2021 ha realizzato vendite aggregate pari a 184,1 miliardi di euro, occupando oltre 523mila dipendenti.

Le tre chiavi del successo: Capitale Umano, digitalizzazione e green

Secondo il rapporto, la chiave di questo successo “sta nell’attenzione per la qualità e il capitale umano, che rappresenta il fattore determinante della competitività” dice. Nel dettaglio emerge che sono più ottimiste le medie imprese che investono nella “duplice transizione”, cioè nella digitalizzazione e nel green. Il 34% di quelle che prevedono una crescita del fatturato nel periodo 2023-2025 punterà infatti sulla Duplice Transizione. Una quota che sale al 46% quando gli investimenti in digitale e green si abbinano a quelli in formazione del Capitale Umano. “I molti shock del post Lehman hanno fatto emergere la rilevanza dei capitali strategici, e di quello Umano in particolare, come fattori chiave che consentono di cogliere le opportunità offerte da un contesto rischioso e incerto” ha detto Gabriele Barbaresco, Direttore dell’Area Studi Mediobanca. “Il Capitale Umano premia le imprese che lo sanno reperire, trattenere e coltivare, massimizzandone la soddisfazione e quindi il rendimento”

Quasi la metà delle imprese punta al Pnrr, ma vede troppa burocrazia

Anche in quest’ottica, circa la metà delle imprese si è attivata o intende attivarsi sui programmi del Pnrr, ma la burocrazia è il principale ostacolo per l’altra metà che non prevede di avvalersi del Piano. “Le medie imprese si stanno dimostrando più competitive delle altre realtà imprenditoriali, anche perché sono maggiormente consapevoli della necessità di dovere accompagnare il loro percorso di innovazione con la formazione del Capitale Umano” ha detto il Presidente di Unioncamere, Andrea Prete che ha anche aggiunto che “è indispensabile snellire pure la burocrazia che frena un’ampia platea di imprese a sfruttare i vantaggi del Pnrr per finanziare il proprio percorso di cambiamento. In questa ottica il decreto legislativo sulla semplificazione appena varato è certamente un buon segnale”.

Medie imprese dinamiche e flessibili vedono il futuro con ottimismo temperato

Dopo i rimbalzi del fatturato del 2021 (+20,4%) e del 2022 (+15%), le medie imprese manifatturiere italiane, che hanno dimostrato una grande capacità di adattamento e una minor sensibilità agli shock rispetto al resto dell’economia, si attendono un progresso anche nel 2023, sebbene più modesto (+3,5%). Le aspettative per gli anni a venire sono ispirate da un ‘ottimismo temperato’: il 55% ritiene di poter crescere, ma in maniera lieve. Si tratta di un gruppo che fa da spartiacque tra un 25% di aziende ottimiste, che immaginano un futuro in incremento significativo e un 20% che, al meglio, manterrà stabili le proprie quote di mercato, dice il rapporto. Rispetto al periodo precedente al Covid e al conflitto russo-ucraino, l’attuale contesto presenta più rischi che opportunità per il 37,7% delle medie imprese anche perché il 28% di esse ritiene di confrontarsi con competitors meno numerosi ma più agguerriti.
Fortunatamente, per oltre un quarto delle medie imprese, negli ultimi anni è cresciuto il gradimento verso il made in Italy che rappresenta una sorta di ‘ancora valoriale’ in un quadro dai riferimenti instabili.

Puntando all’Esg migliorano l’Ebit, le vendite e il debito

Le tematiche Esg rappresentano una parte rilevante delle strategie aziendali grazie all’apprezzamento sempre maggiore da parte dei consumatori, visto come sinonimo di cura del prodotto e di integrità delle imprese, dice il rapporto. Il 65,3% delle medie imprese considera che si tratti di un trend destinato a perdurare e una fonte di vantaggio competitivo. Vi è comunque una quota di scettici che vi vede un costo non evitabile ma privo di ricadute positive (12,2%) o una moda temporanea, sebbene non trascurabile (8,2%). Tuttavia, numeri alla mano, chi integra criteri ESG nelle pratiche aziendali realizza performance migliori rispetto a chi non lo fa: le variazioni più significative riguardano la redditività (EBIT margin +61%, ROI +51,9% e ROE +51,6%) e le vendite (+14,5% il fatturato totale, +9,3% quello oltreconfine). I benefici ESG riguardano anche l’indebitamento che risulta inferiore del 30,5%.

L’alta gamma italiana porta migliori performance

La disponibilità di Capitale Umano specializzato ha una diretta relazione con la qualità dell’organizzazione e delle produzioni dell’impresa che rappresentano la ‘stella polare’ del made in Italy, dice il rapporto. Il 40% delle medie imprese si percepisce come produttore di fascia alta: chi vi opera ottiene migliori performance economiche (EBIT margin 7,4% vs 5,7%) e presenta meno debiti (Debt equity ratio 67,3% vs 84,5%) rispetto ai player di gamma medio-bassa.

Trattenere i talenti: una media impresa su 2 punta su incrementi salariali

La consapevolezza di dover contare su Capitale Umano adeguato per migliorare la propria competitività ha favorito anche lo sviluppo di politiche specifiche per trattenere i migliori talenti. La leva economica è la più considerata e infatti il 50% adotta incrementi salariali per scongiurare il fenomeno delle dimissioni spontanee, mentre il 29% punta sui benefit aziendali e il 27% sulla flessibilità degli orari di lavoro. Solo il 13% incentiva lo smart-working.

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