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Medici: quale futuro tra Quota 100, blocco turnover e calo demografico

Le stime dicono che da qui al 2026 verranno a mancare in Italia 16mila medici, salvo poi diventare troppi successivamente: come decriptare queste previsioni? Il problema ha origine nel 1968, con la liberalizzazione dell’accesso alla Facoltà di Medicina. Tema stipendi: sempre più medici scelgono l’estero.

Medici: quale futuro tra Quota 100, blocco turnover e calo demografico

Il problema della “mancanza dei medici” viene periodicamente trattato da almeno dieci anni da parte di media, riviste di settore, sindacati medici. Le recenti stime del sindacato Anaao Assomed dicono che da qui al 2026, in Italia, arriveranno a mancare 16mila medici, salvo poi diventare paradossalmente troppi nei successivi 8 anni. L’eventuale mancanza di medici che potrebbe verificarsi nei prossimi anni va però inserita in un analisi più complessa, partendo da un periodo storico precedente a quello attuale.

Nel 1968 venne liberalizzato l’accesso alla Facoltà di Medicina, rendendolo possibile da tutti gli istituti superiori. In quegli anni si discuteva già del Servizio Sanitario Nazionale da istituire (lo sarà ufficialmente 10 anni dopo, con la legge n.833 del 1978), quindi si sapeva che si sarebbero creati migliaia di posti di lavoro in campo medico. Migliaia di nati tra il 1950 e il 1965 si iscrissero dunque alle Facoltà di Medicina. Gli ospedali “regionalizzati” assunsero migliaia di medici, arrivando in molte Regioni ad organici gonfiati: i medici di base aumentarono, riducendo i massimali di pazienti mutuati fino a 1.500.

Negli anni ’80, l’Ordine dei Medici di Roma aveva circa mille nuovi iscritti l’anno. Dagli anni Novanta apparve quindi chiaro che migliaia di medici sarebbero rimasti sottoccupati, e allineandosi a tutti Paesi europei venne introdotto il numero programmato nelle Facoltà di Medicina italiane. Il numero si assestò sui 8.000/9.000 l’anno, su tutto il territorio nazionale. Ma forse di programmato c’è stato poco, nella programmazione: i nati negli anni ’50 stanno infatti andando in pensione, e nei prossimi 5-10 anni i nuovi laureati non saranno sufficienti a coprire il fabbisogno.

Per i medici di base si tamponerà per un po’ aumentando il massimale di mutuati. Ma è una non soluzione sostenibile a lungo termine. Per gli organici ospedalieri probabilmente avrà senso ridurre il numero di ospedali per avere un numero di medici idoneo a coprire turni di guardia e servizi diagnostici e ambulatoriali. Ma non è facile, in Italia, chiudere un ospedale pur avendone altre due o tre nel raggio di 10-15 chilometri. Alla crisi si aggiunge il fatto che molti medici italiani vanno a lavorare all’estero, dove vengono pagati meglio e hanno condizioni di lavoro migliori.

Un medico ospedaliero olandese, ad esempio, ha uno stipendio lordo annuale di 159.000 euro, contro i 70-75.000 di un collega italiano. La crisi è reale, in una città come Milano nei prossimi 2-3 anni ci sarà un crollo dei medici di base. Una migliore organizzazione dei servizi (tramite ad esempio le associazioni di medici di base), la riorganizzazione della rete ospedaliera e l’incremento dell assistenza domiciliare sono tre elementi che potrebbero permettere di utilizzare meglio i medici che si avranno a disposizione.

Superata questa fase, si rischia invece di tornare al problema degli anni ’80: il soprannumero. La liberalizzazione delle iscrizioni a partire dal prossimo anno porterebbe sul mercato del lavoro i medici tra 10-11 anni, creando una situazione di troppa offerta con conseguente sottoccupazione, proprio come avvenne quarant’anni fa. E da questo punto di vista non aiuterà Quota 100, che non sta attirando molto i medici, poiché il fatto di non poter lavorare come liberi professionisti fino ai 67 anni non è logicamente una prospettiva interessante per coloro che pur avrebbero i requisiti per chiedere il pensionamento. Altra anomalia è il fatto che per i medici degli ospedali pubblici è ancora vigente la legge sul blocco del turnover, ereditata dal Governo Monti e che questo esecutivo ha prolungato, per cui è sostituibile solo un solo medico ogni tre che vanno in pensione o si dimettono.

Infine, il fattore demografico. Le curve demografiche infatti danno proiezioni sul calo della popolazione tra qualche anno, quindi una riduzione del numero di potenziali pazienti. Appare dunque ancora più strano come l’Italia, che per anni ha avuto il più basso rapporto medici/abitanti d’Europa, si venga a trovare in una situazione di carenza di medici. La programmazione è stata decisamente sbagliata.

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